Dopo il messaggio in codice di Sergio Mattarella, anche la nota congiunta di Romano Prodi e Mario Monti: nel pieno del negoziato sul futuro della Commissione Ue, si moltiplicano, da un fronte non nemico, le tirate di blazer a Elly Schlein perché chiuda senza troppe storie i negoziati in Ue.

Così, mentre i popolari esercitano spregiudicatamente la politica del doppio forno (ridurre i socialisti a subalterni e far blocco con le destre estreme quando conviene), i dem scontano quella del doppio fuoco: i popolari tengono in ostaggio la nomina della socialista Teresa Ribera e il “fronte non nemico” invita a benedire quella di Raffaele Fitto.

Nel frattempo gli osservatori brussellesi avvertono che una maggioranza a destra, in Ue, è già realtà; ma Schlein a quanto pare dovrà lasciare che il premier spagnolo trovi la stretta di mano con Ursula von der Leyen, e ancora una volta attendere tempi maturi.

Mattarella, Prodi e i segnali

«Con le enormi sfide che l’Ue deve fronteggiare, confidiamo che, davanti a candidati qualificati come Ribera o Fitto, non prevalgano le tensioni intestine, in particolare tra i gruppi considerati più europeisti quali i popolari e i socialisti», scrivono i due ex premier, che hanno in comune anche il passato in Commissione Ue e l’attitudine a centellinare e soppesare le parole.

«Potrebbe addirittura derivarne la caduta della Commissione von der Leyen 2, dopo una gestazione di cinque mesi e prima ancora della sua entrata in carica, proprio quando i cambiamenti nella politica americana ci obbligano a costruire un’Europa più forte e più coesa. Il mondo intero guarderebbe all’Europa con derisione. Auspichiamo che prevalga in tutti il senso di responsabilità».

Come a dire: non impuntatevi. Di provenienza e tono diverso, ma con un’identica conclusione, era il messaggio lanciato da Sergio Mattarella la scorsa settimana, dopo aver incontrato Fitto in piena crisi politica: «Auguri per l’affidamento dell’incarico, così importante per l’Italia».

Dato che il fronte progressista non contestava l’assegnazione di un incarico a Fitto, ma la scelta di attribuire una vicepresidenza esecutiva a un meloniano, interpretata come un ulteriore sfondamento a destra, quella precisazione sull’«incarico» era volta a far da scudo alla vicepresidenza.

Cosa succede ora

Schlein ha già chiarito che «lo stallo l’hanno creato i popolari: stanno cercando di allargare strutturalmente la maggioranza». Basti vedere l’inanellarsi degli eventi: nel pieno dello stallo sui commissari, il Ppe ha fatto passare una risoluzione anti clima assieme a Ecr, Patrioti, AfD. E, pur di non dare alcun segno di redenzione sullo sbandamento a destra, Weber non ha solo blindato Fitto, ma ha pure concordato col Partido popular un attacco frontale contro Ribera (mentre i piddini nell’audizione di Fitto erano stati morbidi).

«Il problema non è mai stato Fitto e le sue deleghe»: lo aveva segnalato già la scorsa settimana la segretaria Pd, sgombrando il campo da equivoci. Nessun grande nome manda messaggi a Weber, ma il carburante per l’escalation viene dalle sue stanze; questo martedì, Politico Europe, punto di riferimento della bolla brussellese, sanciva come «verità inevitabile» che «l’estrema destra sia ormai maggioranza a Bruxelles», mostrando implicitamente la volatilità di un presunto accordo di coalizione che popolari, socialisti e liberali potrebbero firmare per giustificare un’uscita dall’impasse.

Questo mercoledì Ribera si presenterà davanti ai deputati spagnoli assecondando i popolari che vogliono trascinarla nello scandalo alluvione: dai toni capiremo se nelle ore precedenti, al G20, Sánchez e von der Leyen hanno trovato una sintesi. Per il gruppo socialista in Ue, ancora pilotato dagli spagnoli, portare a casa l’incarico di Ribera è la priorità; ma se «l’estrema destra è di fatto maggioranza», in futuro il Pd – per numeri primo azionista – dovrà tirare fuori una grinta da opposizione.

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