Non si accontentano di tenere in ostaggio la socialista Teresa Ribera. I popolari europei guidati dall’amico meloniano Manfred Weber forzano la mano: questo giovedì hanno fatto saltare di nuovo la pacifica convivenza coi socialisti, sabotando una direttiva sulla deforestazione attraverso una maggioranza spostata verso la destra estrema, da Giorgia Meloni a Viktor Orbán ad AfD.

Weber è per i popolari sia il factotum (capogruppo e presidente di partito) sia l’anima nera: è lui a esercitare da anni l’integrazione delle destre estreme, cominciando da Meloni. La premier imputa al Pd un sabotaggio della vicepresidenza di Raffaele Fitto, il quale – dopo un incontro al Quirinale – ha incassato una sponda importante da Sergio Mattarella: il presidente si è congratulato «per l’incarico così importante per l’Italia»; un richiamo all’ordine nazionale.

Ma lo scontro in atto a Bruxelles va oltre le beghe nostrane e Fitto stesso: è in atto una prova di forza di Weber. Vuole imporre il Ppe come regista incontrastato di maggioranze. Il plurale è cruciale: esibendo la disinibizione verso le destre estreme, l’uomo chiave del Ppe non sta solo blindando il suo amico (Fitto è stato il ponte con Meloni); sta mostrando ai socialisti che è disposto a umiliarli. «Umiliazione» è la parola che fuori microfono i socialisti stessi usano per descrivere questa fase. Il tema della vicepresidenza a Fitto è stato solo l’innesco, mentre si fa più complesso lo scenario del voto finale in plenaria, che era previsto per fine mese.

Nel mezzo del cammin di von der Leyen, si ritrovarono per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita: tra direttive sulle foreste e maggioranze instabili, l’incipit del “von der Leyen bis” è un Inferno. Bisogna ricostruire l’escalation, girone dopo girone.

La dinamica dello scontro

Dopo essersi assicurati che Scholz e Sánchez non ostacolassero la nomina di von der Leyen, Weber e la presidente hanno portato a casa la sua rielezione salvando la faccia ai socialisti: i Verdi hanno fatto da stampella, invece dei meloniani, che hanno evitato imbarazzi coi propri elettori.

Ma spingendo a destra la nuova Commissione e attribuendo una vicepresidenza esecutiva a un meloniano, von der Leyen ha virato a destra, mentre Weber in Europarlamento esercitava la politica dei due forni. Sia la calendarizzazione dell’audizione di Fitto sia gli emendamenti sui centri in “stile Albania” sono stati portati avanti dal Ppe con le estreme destre di ogni conio.

L’unico bastione rimasto ai socialisti era la vicepremier spagnola Ribera in Commissione con deleghe pesanti: per Iratxe García Pérez, la capogruppo socialista sancheziana, la priorità di blindare la connazionale contemperava le contrarietà (Verdi) e perplessità (S&D) su Fitto. Si è arrivati alle audizioni con l’idea di tutti o nessuno (l’«accordo a pacchetto»), dunque coi via libera rinviati a data da definirsi. Nel frattempo Weber non ha solo blindato la vicepresidenza per Fitto.

Ha sguinzagliato i popolari spagnoli, che hanno attaccato violentemente Ribera. Il leader del Partido popular, Alberto Núñez Feijóo ha chiesto un ritiro tout court della sua connazionale dalla Commissione. Nulla a che vedere con l’interlocuzione a dir poco garbata che socialisti come Lello Topo (la quota Pd nella commissione Regi) hanno riservato a Fitto. Le destre spagnole, dal Pp a Vox, hanno accusato Ribera per i morti di Dana, a dispetto del fatto che le più gravi responsabilità politiche accertate riguardino un popolare, il presidente valenciano Carlos Mazón.

La prova di forza

Von der Leyen può modificare deleghe ed equilibri, e soprattutto deve pensare al voto finale in plenaria: a inizio settimana è corsa lei a negoziare, prima bilateralmente e poi con le tre famiglie della maggioranza tradizionale (Ppe, S&D, Renew). In teoria ci sono le condizioni perché tutti i vice sopravvivano alle audizioni e i socialisti salvino la faccia: anche se hanno mostrato fastidio per la vicepresidenza esecutiva di Fitto, a quest’ultimo basta il supporto delle destre per arrivare in fondo.

Ma non vale lo stesso per Ribera, che è appesa all’ok dei popolari. Così mercoledì sera i socialisti hanno lanciato l’allerta, parlando di fiducia rotta e indicando al Ppe di votare Fitto con un’altra maggioranza, mentre Weber alzava la posta. «I due vicepresidenti socialisti risolvano i problemi in patria, Ribera risponda alle domande del parlamento spagnolo prima di assumere ruoli in Ue», ha detto il leader del Ppe. Ribera si presenterà al Congreso il 20, e la riunione dei capigruppo in Ue è prevista il giorno dopo.

Trasformare la sancheziana nell’accerchiata di turno è il modo weberiano per blindare Fitto attraverso la solita regola: “La miglior difesa è l’attacco”. Lo fa fino a voler «umiliare e assoggettare» i socialisti; vuole essere lui il perno di maggioranze variabili «e che noi accettiamo questo»: è il concetto espresso da più fonti di alto livello socialiste.

I fatti di questo giovedì sembrano corroborare: «Era stato trovato un accordo sulla richiesta di rinvio della direttiva sulla deforestazione, purché senza emendamenti per non riaprire lo scontro sulla direttiva in sé. Invece Weber ha forzato la mano, il Ppe ha sostenuto emendamenti con le estreme destre alleandosi con loro: c’è stata una rottura intenzionale», spiega a Domani il capodelegazione dem Nicola Zingaretti.

La forzatura di Weber fa leva anche sul contesto politico: non ci sarà più il cancelliere tedesco a dar forza ai socialisti, mentre la vittoria di Donald Trump aumenta agli occhi del Ppe l’utilità del dialogo con le destre estreme; Meloni, già vista come il ponte con le destre estreme, diventa oggi il ponte con Trump. Anche se Fratelli d’Italia ha detto di voler sostenere von der Leyen nel voto in plenaria a fine novembre, non significa che quest’ultima voglia dichiarare uno slittamento strutturale della sua maggioranza a destra.

Lo conferma indirettamente a Domani il capogruppo meloniano dei Conservatori, Nicola Procaccini: «Le maggioranze si formano sui contenuti: se ha prevalso il centrodestra sulla deforestazione non è per una presunta maggioranza Venezuela, ma perché su quel tema c’è quella maggioranza». La strategia del doppio forno prevede questo: che von der Leyen salvi l’anima in apparenza, ma l’anima nera weberiana giochi con l’estrema destra.

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