Aumenta il bilancio delle vittime. Il 9 novembre i sindacati in piazza: nel mirino il presidente Mazón che ha cancellato l’ente per le emergenze e non ha dato l’allarme
L’alluvione è un fatto umano: oltre alle responsabilità politiche per il cambiamento climatico in sé, il caso della comunità autonoma di Valencia – il cui presidente Carlos Mazón è arrivato al potere grazie all’alleanza tra Popolari e destra estrema (Vox) – mostra fino a che punto un disastro naturale può elevarsi a potenza se le strutture pubbliche vengono smantellate, l’allerta viene data in ritardo e la macchina produttiva è tenuta accesa fino all’ultimo. Il disastro è anche politico.
Il clima politico
In linea con le tendenze di tutta Europa, la Spagna in questo momento è alle prese con due fenomeni estremi in simultanea: quelli climatici, sotto l’onda dei quali hanno perso la vita centinaia di persone (questo giovedì pomeriggio il numero dei morti era già salito a 158); e quelli di un clima politico sempre più aspro.
Anche se il premier socialista spagnolo Pedro Sánchez ha preferito un clima di pacificazione nazionale, ribadendo il pieno supporto alla comunità autonoma valenciana, il suo avversario – il leader popolare Alberto Núñez Feijóo – ha provato a gettare discredito sull’operato degli enti centrali; al contempo gli ambienti dell’estrema destra di Vox alimentavano la disinformazione.
La polarizzazione del dibattito e il rumore delle polemiche servono a distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dalla ricostruzione delle responsabilità politiche, che in questa storia hanno un ruolo cruciale: nel caso di Valencia, il disastro non è stato solo naturale. Più le ore passano, più emergono dettagli sull’operato di Carlos Mazón, che guida la Generalitat Valenciana e che è popolare come Feijóo, ma conta molto anche sull’appoggio di Vox.
Senza protezione
A febbraio 2023 il socialista Ximo Puig ha battezzato una sorta di protezione civile locale, la Unidad valenciana de emergencias (Uve), per rafforzare la capacità di reazione alle catastrofi. Ma ha avuto vita breve: appena ha preso il potere, a maggio di quell’anno, Mazón ha soppresso l’Uve.
All’epoca la decisione era stata rivendicata come «ristrutturazione del settore pubblico» altrimenti «sovradimensionato» secondo i popolari. La comunità valenciana è uno dei tanti enti locali spagnoli nei quali è stata sperimentata un’alleanza tra popolari e Vox, e anche se – in simultanea col passaggio nel gruppo di Orbán – Santiago Abascal ha annunciato l’uscita da questi patti, la cooperazione dalle parti di Valencia non si è mai del tutto interrotta.
Ad ogni modo lo smantellamento di Uve è avvenuto all’esordio del mandato di Mazón – in piena alleanza con Vox – e la scelta porta doppia firma; il che spiega perché le due destre parlino d’altro.
Ritardi e sottovalutazione
«Molte persone sono morte mentre lavoravano», ha denunciato la Ccoo, il principale sindacato spagnolo, che assieme ad altre organizzazioni manifesterà il 9 novembre per le dimissioni di Mazón. «Il governo valenciano, con il presidente Mazón come massimo responsabile, ha reagito alla crisi con oltre dodici ore di ritardo, il che ha aumentato la portata della disgrazia».
Soltanto all’ora di cena di martedì – erano le 20:15 e le persone erano già in condizioni disperate – l’ente valenciano ha inviato l’allerta sui cellulari degli abitanti. L’Agenzia statale di meteorologia (Aemet) aveva dato l’allerta rossa già alle sette di quella mattina; Mazón stesso era stato messo al corrente del grave pericolo ore prima, e infatti si scopre ora che il personale della provincia di Valencia era stato invitato a tornare a casa già alle 14.
Ma «alle 18 il peggio sarà passato», ha continuato a sostenere Mazón fino alle 13.
© Riproduzione riservata