Fatta la presidenza, bisogna fare i commissari. Cosa conta davvero perché un portafogli sia «pesante», chi verrà riconfermato, il ruolo dell’Italia, le anticipazioni di Ursula von der Leyen sulle deleghe e cosa succede ora: guida alla Commissione che verrà
Fatta la presidenza, bisogna fare i commissari. Quindi il governo Meloni – dopo essersi ridotto all’angolo nell’elezione di Ursula von der Leyen – insiste nel rassicurare. «Il voto di giovedì, come ha detto la premier, non comporta cambi di approccio sui passaggi successivi», ha detto questo venerdì il ministro Raffaele Fitto, il papabile per l’incarico a Bruxelles.
In realtà Fratelli d’Italia non è arrivato al momento del voto su von der Leyen con una garanzia in mano sull’incarico. «Avremo Semplificazione e Bilancio?», ci si domandava nel corridoio di Strasburgo nel giorno del voto contrario, che comunque qualche irritazione deve averla creata. «Non penso che Meloni possa sperare ora una vicepresidenza esecutiva», dice una fonte Ppe nei corridoi ormai semivuoti dell’Europarlamento, mentre il vicepremier Antonio Tajani mette le mani avanti: «È possibile che nella prossima Commissione gli esecutivi non ci siano proprio».
Poi, pur rammaricandosi del voto contrario di FdI, torna alla carica: «Aspiriamo ancora a un portafoglio economico di peso e a un vicepresidente». Cosa succede quindi ora?
I prossimi passaggi
«Ora mi concentrerò sulla costruzione della mia squadra di commissari», ha detto von der Leyen subito dopo la sua riconferma. «Nelle prossime settimane chiederò ai governi di proporre i loro candidati. Scriverò una lettera e chiederò che vengano proposti un uomo e una donna. L’unica eccezione varrà qualora la proposta sia un commissario già in carica che vuol restare. Poi da metà agosto intervisterò i candidati».
Esiste un livello di interlocuzione informale tra la presidente e i leader, e i nomi sono solo un punto; una volta selezionati devono poi sottoporsi allo scrutinio dell’Europarlamento. Prima gli aspiranti commissari vengono vagliati dalle commissioni europarlamentari competenti, e ciò può comportare una bocciatura, come è già successo; poi c’è il voto finale d’aula sulla squadra. Non prima dell’autunno.
Le deleghe e il «peso»
È von der Leyen a definire gli assetti e la costruzione delle deleghe. Una vicepresidenza in sé non significa più influenza; quella esecutiva invece presupporrebbe di coordinare altri commissari.
Il «peso» reale si vede dal fatto di gestire o meno una o più direzioni generali (Dg), dal fatto di gestire o meno materie di competenza esclusiva della Commissione Ue (per esempio il Commercio) e dalla possibilità di gestire fondi: chi ha in mano la coesione segue i fondi relativi, chi ha il bilancio segue il budget Ue, chi ha l’agricoltura i fondi della politica agricola comune.
I disegni di von der Leyen
Nelle sue linee programmatiche, la presidente ha già fatto alcuni annunci; non indicano i ruoli più importanti, ma le etichette simboliche utili a intercettare consensi sulla sua rielezione.
Ci sarà un «vicepresidente alla semplificazione». Von der Leyen prevede anche una agenda e un commissario dedicati al Mediterraneo: «Investimenti, partenariati, creazione di lavoro, energia, migrazione e altre aree di mutuo interesse».
Ci sarà un commissario alla Difesa, come era chiaro negli ultimi mesi. Uno dei commissari avrà una delega per l'accesso alla casa; tra le deleghe l’«equità intergenerazionale», e così via.
I nomi già in pista
La Francia ambisce a gestire gli interessi industriali e intende riconfermare Thierry Breton.
Lo Spitzenkandidat dei socialisti Nicolas Schmit punta al bis nonostante il governo lussemburghese sia di colore diverso dal suo. La croata Dubravka Šuica e lo slovacco Maroš Šefčovič intendono restare.
Se i polacchi dovessero tenere l’Agricoltura (che von der Leyen vuol dare al Ppe) cambierebbe comunque il nome: il precedente, Janusz Wojciechowski, fu indicato dal Pis.
Il potente falco lettone Valdis Dombrovskis, commissario dal 2014, sarà riconfermato.
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