- Il simbolo del Telepass è il vero elemento unificante dei principali contendenti di questa assurda campagna elettorale: chi ha fatto favori ai Benetton e al loro business autostradale ha sempre una lunga carriera politica.
- L’ultimo regalo ad Atlantia è stato tecnicamente messo a punto dal capo di gabinetto di De Micheli Alberto Stancanelli, storico uomo di fiducia del Pd che nei giorni scorsi è stato nominato capo di gabinetto al Campidoglio.
- Luigi Di Maio, l'uomo che suggeriva a Conte di obbedire a De Micheli, è candidato con il Pd all'uninominale di Napoli-Fuorigrotta. Una catena di affetti che nessuno può spezzare.
Se le elezioni si chiudessero con un pareggio e i partiti tornassero alla solidarietà nazionale, potrebbero celebrare la ritrovata concordia con una modifica all'emblema della Repubblica italiana: via lo stellone a cinque punte e al suo posto, sopra la ruota dentata, il marchio Telepass.
Se questo vi sembra un delirio, considerate che il simbolo del Telepass è il vero elemento unificante dei principali contendenti di questa assurda campagna elettorale. Partiamo dalla fine.
Per il crollo del ponte Morandi (costato la vita a 43 persone il 14 agosto 2018) la holding Atlantia, controllata dalla famiglia Benetton, è stata punita comprandole a prezzo più che pieno (8,2 miliardi) la concessionaria Autostrade per l'Italia (ma lasciandole il prezioso Telepass) anziché con la revoca della concessione che era nei voti del governo gialloverde guidato da Giuseppe Conte e, notate, della leader di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni.
L'osceno regalo è stato imposto a Conte, che ha eseguito in silenzio, dalla ministra delle Infrastrutture Paola De Micheli (oggi capolista del Pd per la Camera a Piacenza) e dal ministro dell'Economia Roberto Gualtieri, oggi sindaco di Roma.
Il regalo ad Atlantia è stato tecnicamente messo a punto dal capo di gabinetto di De Micheli Alberto Stancanelli, storico uomo di fiducia del Pd che nei giorni scorsi è stato nominato capo di gabinetto al Campidoglio dopo le rocambolesche dimissioni di Albino Ruberti. Mentre Luigi Di Maio, l'uomo che suggeriva a Conte di obbedire a De Micheli, è candidato con il Pd all'uninominale di Napoli-Fuorigrotta. Una catena di affetti che nessuno può spezzare.
Il peccato originale
All'origine di tutto ci sono le elezioni del 2006, vinte di misura dall'Ulivo di Romano Prodi. In quella tornata la società Autostrade è il principale finanziatore dei maggiori partiti: 150 mila euro ciascuno ai Ds, alla Margherita, al Comitato per Prodi, a Forza Italia, alla Lega Nord, a Alleanza nazionale e all'Udc di Pier Ferdinando Casini e Bruno Tabacci (Di Maio ha sostenuto che da allora i soldi sono finiti alle fondazioni anziché ai partiti, per sfuggire alle regole di trasparenza).
Il governo Prodi imposta una revisione "punitiva" della concessione autostradale ma viene fatto cadere. La nuova convenzione viene scritta dopo le elezioni del 2008 dal governo Berlusconi, di cui Meloni è ministra.
Per i Ds il "ministro ombra" delle Infrastrutture Andrea Martella parla di «autentico regalo» ai Benetton, in cambio del loro investimento nel piano di Berlusconi per salvare l'Alitalia. Tabacci replica secco: «Chi beneficerà di questa norma non investirà una lira nel capitale di Alitalia».
Ma i Benetton, uomini di parola, i soldi nell'Alitalia ce li mettono. Oggi Martella è capolista per il Pd al Senato nella circoscrizione Veneto 1, mentre in quella Veneto 2, sempre per il Pd, è capolista Beatrice Lorenzin, all'epoca deputata di Forza Italia che votò la sconcezza. Tabacci è candidato nell'uninominale per il Pd a Milano. Una catena di affetti…
I favori di Berlusconi
Ma il capolavoro 2008 di Berlusconi è che la convenzione viene approvata con legge del Parlamento, una follia subito denunciata dal presidente dell'Antitrust Antonio Catricalà, già segretario generale di Palazzo Chigi con Berlusconi e in seguito presidente di Adr, la società degli aeroporti di Roma controllata da Atlantia (alla sua morte, poco più di un anno fa, la presidenza è stata affidata all'ex viceministro Pd Claudio De Vincenti).
Quando Conte cerca di revocare la concessione gli spiegano che Berlusconi ci ha infilato la clausola, illegittima ma non impugnabile in quanto votata dal Parlamento, che concede ai Benetton un indennizzo miliardario anche in caso di revoca per grave inadempimento.
Il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli studia un ricorso alla Corte costituzionale ma non fa in tempo: quando nasce il governo Conte giallorosso il Pd impone al suo posto De Micheli, che subito utilizza la norma Berlusconi-Meloni per imporre a Conte la transazione con Atlantia, d'accordo con Matteo Salvini e Matteo Renzi, mentre Meloni continua a chiedere la revoca che dieci anni prima ha contribuito a rendere impossibile.
All'indomani del crollo del Morandi Di Maio accusa il Pd di essere sempre stato finanziato dai Benetton e di aver sempre fatto «marchette ai concessionari autostradali». Come quella di Graziano Delrio, ministro delle Infrastrutture con Renzi e Gentiloni, accusato di aver allungato la concessione ad Aspi e oggi capolista Pd per il Senato a Piacenza. E chiama in causa l'associazione Vedrò di Enrico Letta, di cui De Micheli era assidua animatrice, finanziata dai Benetton e co-fondata con il capo delle relazioni esterne di Atlantia Francesco Delzio.
Adesso vedremo come Di Maio racconterà il kamasutra autostradale nei comizi a Fuorigrotta.
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