La storia della Costituzione è iniziata il 25 giugno 1946, quando l’Assemblea costituente si riunì per la prima volta. Per un anno e mezzo le madri e i padri costituenti lavorarono al testo, che venne votato il 22 dicembre 1947 e fu promulgato cinque giorni dopo, entrando in vigore il 1° gennaio 1948. Ma da quando è nata, non tutti gli articoli della Costituzione sono stati attuati.

Citando Claudio Pavone, «la Resistenza non era in grado di fornire ai lavori dell’Assemblea un coerente e chiaro progetto istituzionale [...], fornì più valori che norme». Secondo il costituzionalista Emanuele Rossi, professore ordinario alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, «la Costituzione italiana ha attinto a valori che erano condivisi dalla società italiana e tutt’oggi continuano a esserlo». 

«Nel momento in cui le madri e i padri costituenti si sono riuniti per scrivere lo Statuto – spiega Carla Bassu, professoressa ordinaria dell’università di Sassari – siccome nessuno sapeva come sarebbe stata la Repubblica, hanno scelto di rendere le norme il più garantiste possibili per proteggere tutti, sia i vincitori che i vinti».

Le modifiche alla Costituzione

Da quando è entrata in vigore, la Costituzione ha visto 45 interventi normativi, in 26 casi si trattava di leggi costituzionali, ovvero con lo stesso rango del testo costituzionale ma che non lo modificano, bensì lo integrano.

Le modifiche effettive alla Costituzione sono state 19: la prima riforma risale al febbraio 1963 e intervenne sugli articoli 56, 57 e 60: si stabilì che Camera e Senato avessero un numero di eletti fisso, mentre prima veniva calcolato in base al numero degli elettori. Inoltre uniformò la durata del mandato delle due camere a cinque anni, rispetto ai sei previsti precedentemente per il Senato, visto che i due organi erano sempre stati sciolti allo stesso momento anche prima. L’ultima riforma è stata approvata a settembre 2023 e riguarda la tutela dello sport.

Nei 78 anni di vita della Carta costituzionale, i tentativi di riforma fallimentari sono stati molti, in particolare a partire dagli anni Ottanta, quando la necessità di aggiornare il testo divenne un tema centrale nel dibattito politico. Gli aspetti su cui i partiti cercarono di avviare in Parlamento un lavoro di revisione costituzionale sono principalmente due: il rafforzamento dei poteri del presidente del Consiglio e il riconoscimento di una maggiore autonomia legislativa alle regioni. 

«Tutte le parti politiche quando tentano di riformarla dovrebbero ricordarsi che la Carta costituzionale è un patrimonio di tutti i cittadini e non deve essere strumentalizzata a proprio favore», commenta Bassu. 

Il governo Meloni sta continuando a muoversi su questa linea, proponendo la riforma del premierato, dell’autonomia differenziata per le regioni e la separazione delle carriere per la magistratura. 

La Costituzione inattuata

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Come spiega il costituzionalista Rossi, «non è facile distinguere tra attuazione e inattuazione degli articoli dello Statuto, perché sono al contempo tutti attuati e inattuati, in particolare quelli che dettano principi e libertà fondamentali», come ad esempio l’articolo 27 sulla funzione rieducativa del carcere per i detenuti e l’articolo 37 sul lavoro femminile. 

«Le norme della Costituzione sono tutte di carattere precettivo, ovvero sono obbligatorie e vanno rispettate subito – spiega Bassu – a volte la fase dell’applicazione della norma scritta può essere molto lenta, perché magari la società non la recepisce, come nel caso della parità di genere prevista dall’articolo 3, ma le donne sono rimaste subordinate ai mariti per legge fino al 1975 con la riforma del diritto di famiglia».

Gli articoli 39 e 49 della Costituzione sono quelli più marcatamente inattuati, perché prevedono interventi specifici che non sono mai stati realizzati.

L’articolo 39 è relativo all’organizzazione sindacale libera. Secondo la Carta, si sarebbe dovuto istituire un registro a cui i sindacati avrebbero dovuto iscriversi, in modo da avere il compito e il potere di stipulare con le controparti contratti collettivi di valore generale per tutti i lavoratori, quindi anche per quelli non iscritti all’organizzazione sindacale.

Nei fatti non è mai stata attuata una legge per la regolamentazione dei sindacati e per molti anni il sistema si è adeguato: le varie organizzazioni non iscritte si sono consolidate e hanno formato i tre grandi sindacati. Ma con la nascita di altre associazioni e l’assenza di un registro d’iscrizione si sono verificati dei problemi, in particolare nel momento in cui il mondo del lavoro ha sentito l’esigenza di fissare con una legge il salario minimo. 

«Il criterio secondo cui il salario minimo dovrebbe essere fissato dai sindacati si scontra con chi dice che non ce n’è bisogno, dovrebbe essere l’organizzazione sindacale a definire la quota minima di salario per i lavoratori – spiega Rossi – Se si fosse data attuazione all’articolo 39 la discussione sul salario minimo per legge sarebbe stata una prerogativa dei sindacati».

L’articolo 49 dello Statuto riguarda la possibilità del cittadino di associarsi in partiti e per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. Questa norma riguarda da vicino l’organizzazione interna dei partiti e di come operano al proprio interno: «Si sarebbe dovuta realizzare una legge che disciplinasse la vita interna dei partiti – commenta Rossi – Ma chi doveva approvarla si è sempre opposto poiché avrebbe limitato l’autodeterminazione dei partiti stessi». 

I partiti svolgono una funzione costituzionale e pubblica, ma la loro organizzazione interna è «senza vincoli», basti pensare al fatto che sono stati fondati partiti di stampo «personale» o le cui idee cambiavano velocemente o si dissolvevano e in alcuni casi «governati da centri di potere, senza regole di democrazia interna». 

Per capire l’importanza dell’inattuazione dell’articolo 49 basta pensare alle candidature dei partiti: se ci fosse stata una legge a determinarne l’organizzazione interna, i partiti non avrebbero potuto candidare persone rivelatesi impresentabili a seguito delle verifiche della Commissione antimafia. Rossi aggiunge: «Le candidature sono scelte da organi ristretti e interni al partito, non sono opera di una selezione democratica interna. In questo modo i partiti sono assimilabili ad associazioni private, non riconosciute, con interessi propri».

Secondo Bassu, «il carattere chiuso e di casta dei partiti ha escluso le persone dalla scelta delle candidature, allontanando gli elettori dalla politica, ma dando attuazione all’articolo 49 si restituirebbe ai cittadini la scelta dei propri rappresentanti».

Cosa serve per attuare la Costituzione?

«L’attuazione dello Statuto non dipende solamente dal legislatore – afferma Rossi – ma anche dalla società. Il legislatore traduce il sentire comune e condiviso della società in norme. A mio avviso la gran parte dei principi costituzionali si realizzano quando le persone si sentono nella loro vita coinvolte e responsabili della loro attuazione. Prendiamo ad esempio la dignità umana: è riconosciuta nella Costituzione, ma deve essere attuata dai comportamenti di ognuno, rispettare l’altro perché lo si ritiene un principio necessario, giusto e corretto». 

«Spesso per giustificare la scelta di non attuare alcuni articoli della Costituzione si è adottato come motivo la libertà – aggiunge Bassu – Ma dare seguito alle norme non vuol dire limitare la libertà, perché le regole la garantiscono. Può considerarsi inattuata quando l’ordinamento non rimuove gli ostacoli che ne impediscono la piena applicazione, come nel caso dell’uguaglianza tra le persone e della tassazione progressiva».

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