- Con l’accordo che ha concluso ieri mattina con Letta, Calenda sperava di liberarsi delle «frattaglie di sinistra» e degli ex Cinque stelle che hanno lasciato il Movimento per aderire al centrosinistra. Per farlo è stato disposto anche a sacrificare i collegi uninominali di Gelmini e Carfagna.
- In realtà, a mettere spalle al muro il ministro degli Esteri è stato il Pd. Di fronte al veto di Calenda sul suo nome, gli ha offerto un’ulteriore possibilità; il diritto di tribuna, che gli permetterebbe di farsi eleggere nelle liste del Pd.
- In sintesi, Di Maio rischia di dover dire addio al suo partito il giorno dopo la sua presentazione. All’altro estremo dell’alleanza, Fratoianni e Bonelli confidano nei sondaggi e respingono l’offerta del Pd.
«Game over», scrive in un messaggio WhatsApp un dimaiano appena viene reso pubblico il contenuto dell’accordo elettorale tra Enrico Letta e Carlo Calenda. «Le parti si impegnano a non candidare personalità che possano risultare divisive per i rispettivi elettorati nei collegi uninominali. Conseguentemente, nei collegi uninominali non saranno candidati i leader delle forze politiche che costituiranno l’alleanza, gli ex parlamentari del M5s (usciti nell’ultima legislatura), gli ex parlamentari di Forza Italia (usciti nell’ultima legislatura)».
Sembra la pietra tombale sulle ambizioni di Impegno civico, il partito presentato solo lunedì da Luigi Di Maio. Insieme per il futuro, la creatura che il ministro degli Esteri aveva creato uscendo dal Movimento 5 stelle, non arrivava secondo i sondaggi all’1,5 per cento, restando così lontanissima dalla soglia del 3 per cento che permette l’ingresso in parlamento alle liste che partecipano a una coalizione.
Il piano saltato
Ma nessun problema. La sopravvivenza politica di Di Maio e di non più di 2-3 fedelissimi doveva essere assicurata dalla candidatura in un collegio uninominale sicuro per il centrosinistra. Tutti piani cancellati dal documento firmato da Letta e Calenda. Con l’accordo, il leader di Azione voleva la certezza di liberarsi delle «frattaglie di sinistra» (citazione da una recente intervista a Repubblica) e degli ex Cinque stelle.
Per raggiungere il suo obiettivo, è stato disposto a sacrificare la sua candidatura e quelle dei nuovi acquisti ex forzisti Mariastella Gelmini e Mara Carfagna nei collegi uninominali. Calenda ha anche dovuto offrire il fianco agli attacchi interni e quelli di Italia viva. Iv ha riesumato per tutto il giorno la lunga bibliografia di tweet dell’ex ministro in cui escludeva la possibilità di allearsi con Di Maio.
Un prezzo alto
Alla fine, però, a mettere davvero in difficoltà Di Maio è stato il Pd con la sua offerta di diritto di tribuna «ai leader dei diversi partiti e movimenti politici del centrosinistra che entreranno a far parte dell’alleanza elettorale». Tradotto, un’ultima possibilità di salvarsi per i leader della coalizione. Il ministro degli Esteri potrebbe tornare in parlamento candidato tra le file del Pd. Il prezzo, tuttavia, è alto: Di Maio dovrebbe buttare a mare il suo progetto, Impegno civico, presentato giusto lunedì.
E, soprattutto, sacrificare le candidature dei suoi alleati più stretti, primi fra tutti Vincenzo Spadafora e Laura Castelli. «Una figuraccia totale per Luigi», dice un parlamentare che l’ha seguito. «Ma Di Maio si ricorda degli amici», dice un altro ex Cinque stelle. È quella la speranza a cui si aggrappano gli ex grillini che hanno deciso di mollare Giuseppe Conte e seguire il ministro degli Esteri nel suo progetto: confidano tutti nel fatto che Di Maio da una posizione vantaggiosa nella coalizione di centrosinistra possa proteggerli anche nella prossima legislatura. La decisione passa attraverso un incontro con Letta alla Farnesina.
Gli altri ex
Approfitteranno dell’offerta del Pd anche Davide Crippa e Federico D’Incà, che hanno lasciato il M5s lo scorso weekend insieme a un altro gruppo di parlamentari. Invece di lanciarsi nella costruzione di un partito, l’ex capogruppo e il ministro per i Rapporti con il parlamento hanno creato un’associazione, Ambiente 2050. Nella trattativa con il Pd, quello doveva essere il mezzo per ottenere almeno un paio di candidature: anche in questo caso, si era parlato di collegi uninominali.
Tutto da rivedere, né D’Incà né Crippa hanno votato la fiducia al governo Draghi e sono ex Cinque stelle. Ma grazie alla proposta dei dem, potranno ottenere anche loro un buon posto nelle liste del Pd.
La sinistra
Diverso è il discorso dell’alleanza Verdi-Sinistra italiana. Dopo la pubblicazione dei dettagli dell’accordo, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni hanno espresso i loro dubbi sui contenuti.
«Consideriamo questo accordo legittimo, perché bilaterale, non lo riteniamo minimamente vincolante per la nostra proposta politica», dice Fratoianni. Nel patto, tra le altre cose, è prevista «la realizzazione di impianti di rigassificazione nel quadro di una strategia nazionale di transizione ecologica virtuosa e sostenibile». Difficile che gli alleati a sinistra possano accettare una linea simile.
Soprattutto il versante ecologista dell’alleanza è in difficoltà, ma la possibilità di recuperare il rapporto con Letta è ancora sul tavolo. Fratoianni e Bonelli si confronteranno oggi sul futuro dell’alleanza con il segretario del Pd. Una cosa, però, l’hanno già messa in chiaro: non faranno uso del diritto di tribuna, confidano nei sondaggi che li danno oltre il 4 per cento. Nessun problema anche per quanto riguarda le candidature nei collegi plurinominali. Fratoianni lunedì sera è stato il primo a proporre che tutti i leader rinunciassero a proporsi negli uninominali.
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