Nessun esponente del partito della premier ha voluto commentare la notizia della donazione 30 mila euro all’associazione Acca Larenzia. Eppure nella fondazione An siede anche la sorella della premier, Arianna Meloni. Il presidente Valentino: «Lei non ha incarichi esecutivi»
La donazione di 30mila euro fatta dalla Fondazione Alleanza nazionale all’associazione neofascista Acca Larenzia per l’acquisto, avvenuto un anno fa, della storica sede missina di via Acca Larenzia accende lo scontro politico agostano. La vicenda, infatti, riporta al centro del dibattito la contiguità tra il mondo di Fratelli d’Italia, di cui importanti esponenti siedono nel cda della fondazione, e il neofascismo. «C’è una vera e propria osmosi fra uomini (e donne) ai vertici di Fratelli d’Italia e la galassia neofascista», ha commentato Gianfranco Pagliarulo, presidente nazionale Anpi, «sussiste un’evidente questione di fedeltà alla Costituzione e alla Repubblica democratica, considerando che Fratelli d’Italia è oggi al governo ed esprime la presidente del Consiglio e vari ministri».
Pagliarulo chiama in causa soprattutto la gamba liberale del governo, «che ne pensano gli alleati, a cominciare da Forza Italia? È ora che finisca il balletto di silenzi e balbettii di Giorgia Meloni e si tronchi immediatamente e pubblicamente la sua intollerabile doppiezza».
Il portavoce di Europa verde e deputato di Avs, Angelo Bonelli, ha annunciato di aver presentato una interrogazione parlamentare: «Come mai a bilancio non c’è nulla della somma data ad Acca Larenzia per acquistare la sede omonima? Fratelli d’Italia dovrà rispondere anche sul fatto che hanno dato soldi a chi celebra il terrorista che ha ucciso il giudice Occorsio, oltre a celebrare le Waffen SS».
Anche il vice presidente di Avs alla Camera, Marco Grimaldi, ha commentato l’inchiesta, dicendo: «Agiscono nell’ombra, ma i legami tra il partito di Giorgia Meloni e il neofascismo sono sempre più evidenti. Questa destra si pone fuori dai binari costituzionali se non spegne la “fiamma”». E la senatrice di Avs, Ilaria Cucchi, ha aggiunto che «basta seguire i soldi e viene fuori il nitido ritratto di famiglia di questo governo», «io non lo so, come tutto questo può essere considerato normale».
Anche il Pd con il responsabile Cultura Sandro Ruotolo ha preso posizione, sottolineando come FdI «non vuole e non può fare i conti con il passato», e «quella fiamma che arde nel simbolo di Fdi riporta questa destra indietro nella storia». Debora Serracchiani ha chiamato in causa direttamente Meloni: «È ora che la presidente chiarisca una volta per tutte i legami del suo partito con il neofascismo».
Nessuno del centrodestra ha voluto commentare la notizia. Unica voce, quella dell’ex capogruppo di Forza Italia, Elio Vito, il quale su X ha commentato la notizia sottolineando che nel cda della fondazione siede anche, Maurizio Gasparri, ex colonnello di An e oggi capogruppo al Senato di FI: «Antonio Tajani, tutto bene?».
La consegna del silenzio
Bocche chiuse e no comment, invece, sul fronte di Fratelli d’Italia e soprattutto da parte dei membri del consiglio di amministrazione, tra cui compaiono i nomi noti di Arianna Meloni e Fabio Rampelli. L’ordine di scuderia è quello di rimanere in silenzio: nessun commento, nessun chiarimento, se non un rimando a parlare con il presidente, l’avvocato Giuseppe Valentino.
Cercato ripetutamente da Domani prima della pubblicazione della notizia, ieri ha pubblicato una nota in cui ha specificato che la fondazione «è di gran lunga preesistente rispetto al partito FdI», con cui «non intercorre alcun rapporto economico», «salvo l’affitto di alcune sedi». La strategia del silenzio è stata adottata anche dalla premier Giorgia Meloni, che viene descritta come fortemente irritata per l’ennesimo pasticcio legato all’eredità della destra post-fascista e ai rapporti con sigle di estrema destra. Anche perché la questione la tocca da vicino, visto che la sorella è membro del cda anche se, come ha sottolineato Valentino, «senza ricoprire alcun incarico esecutivo e quindi senza il potere di imporre decisione alcuna alla Fondazione An».
Eppure, qualcosa deve essere andato irrimediabilmente storto nella gestione della vicenda di via Acca Larenzia. Una fonte vicina al cda, infatti, spiega come le erogazioni liberali vengono deliberate a fine seduta indicando le finalità a cui destinare le somme e nulla di specifico era stato spiegato sulla sede del Msi del Tuscolano, dove ogni anno va in scena la liturgia del “presente” col saluto romano.
L’obiettivo della fondazione, infatti, è quello di tutelare il patrimonio storico-culturale della destra sociale dunque nulla ci sarebbe stato di strano nel devolvere una cifra «per evitare che la sede in cui morirono due nostri ragazzi diventi una frutteria». Viene spiegato che lo stesso ragionamento è stato fatto anche con la storica sezione dell’Msi del quartiere Prati in via Ottaviano a Roma, quella dove si svolge la commemorazione per la morte del militante del Fuan Mikis Mantakas.
La fondazione l’ha acquistata nel 2018, «sono stati cacciati gli estremisti che la gestivano» e ora è «sigillata, in attesa di decidere a cosa destinarla». Nel caso della sezione di via Ottaviano il ragionamento fila, il caso di quella in via Acca Larenzia però è molto diverso. La fondazione An, infatti, non ha acquistato in proprio l’immobile ma – come risulta da atto notarile – ha scelto di donare 30mila euro alla associazione neofascista Acca Larenzia, che poi ha acquistato in proprio la sezione e potrà destinarla agli usi che riterrà. É su questa precisa questione che i chiarimenti non ci sono.
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