Il brutto quarto d’ora dura in realtà un’ora per Amedeo Ciaccheri, trentacinquenne presidente del Municipio VIII di Roma (il cui cuore è il quartiere di Garbatella), fermato stamattina all’alba sul pullman che lo portava in aeroporto di Istanbul, fra lo sgomento e l’apprensione dei suoi compagni di viaggio. È stato fatto scendere senza fornire informazioni precise, poi portato nelle stanze della polizia dell’aeroporto, è stato interrogato – operazione non facile, ci spiega lui stesso al telefono prima di ripartire, «gli agenti turchi non parlavano un granché di inglese» – e poi espulso con un foglio di via.

Ciaccheri faceva parte di un gruppo di una quarantina di europei invitati dall’attuale Amministrazione autonoma del Nord-Est della Siria alle celebrazioni dei dieci anni dalla riconquista di Kobane.

Fu la gloriosa vittoria dei curdi delle Unità di Protezione Popolare, aiutate militarmente dalla copertura degli aerei statunitensi, dopo che la città e i villaggi rurali dell’area erano caduti sotto la mano dei terroristi dell’Isis. Alla fine degli scontri, ferocissimi, le bande dello Stato Islamico furono costrette a ritirarsi. 

La battaglia segnò di fatto la vittoria dell’Occidente contro i tagliagole. E fu una vittoria dei guerriglieri e guerrigliere curde ma anche un’epopea di resistenza popolare, con un forte protagonismo delle Ypj, le unità di autodifesa delle donne curde. La battaglia del Rojava diventò per tutto il mondo il simbolo della liberazione dalla minaccia islamica. 

In quella città nacque in seguito un’amministrazione ispirata alle teorie del municipalismo democratico teorizzato da Abdullah Öcalan, detenuto da quasi trent’anni anni nell’isola turca di Imrali e fondatore del Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan (organizzazione armata per la liberazione del Kurdistan, dichiarata terroristica da Ue,  Nato e Usa, quest’ultima con il paradosso di aver combattuto al suo fianco appunto dieci anni fa, ora comunque ha dichiarato il cessate il fuoco).

Torniamo al fermo di stamattina a Istanbul. La delegazione italiana, che in mattinata dovrebbe sbarcare all’aeroporto di Fiumicino a Roma, stava facendo rientro in Italia ed era composta da una ventina di persone, cooperanti, attivisti e giornalisti. Fra loro Roberto Eufemia, consigliere della Città metropolitana di Roma. E appunto Amedeo Ciaccheri, presente in rappresentanza ufficiale del suo municipio che da un decennio è impegnato nel sostegno dell’amministrazione curda e anche in una riflessione transnazionale sulle esperienze di confederalismo democratico del Rojava, oggi appunto Siria del Nord-Est.

La città è ancora sotto attacco. Anzi, non ha mai smesso di essere insidiata da Ankara, che anche in queste settimane ne tenta la riconquista attraverso l’Esercito nazionale siriano, una formazione che sfida il nuovo governo di Damasco. La Siria del Nord-Est è invece impegnata in una delicata trattativa con i nuovi siriani (di cui lì nessuno ignora il passato di stupri e assassinii), in vista di un’intesa per quei territori. Naturalmente la possibilità di accordo fra la Siria del post Bashar al Assad e l’enclave curda – ma non c’è certezza per questo popolo sempre perseguitato – non piace affatto alla Turchia di Erdogan.

E sarebbe questa, a quanto si apprende, la ragione del fermo di Ciaccheri. Ciaccheri non sarebbe stato neanche sottoposto a un vero interrogatorio: le autorità turche in realtà sembravano perfettamente a conoscenza degli spostamenti del gruppo, spostamenti peraltro pubblici e, a quanto viene assicurato, regolarmente autorizzati. L’ambasciatore italiano in Turchia, subito attivato, insieme alla Farnesina, ha tempestivamente superato il fermo. Resta l’avviso di Ankara: chi si schiera con i curdi è persona non grata. 

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