Cinquantacinque anni fa la strage di piazza Fontana. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ricordato l'attentato che causò decine di morti e feriti. Il capo dello Stato l’ha definita «Uno squarcio nella storia nazionale»
«La strage che, 55 anni or sono, colpì Milano, a Piazza Fontana, fu espressione del tentativo eversivo di destabilizzare la nostra democrazia, imprimendo alle istituzioni una torsione autoritaria. Una ferita nella vita e nella coscienza della nostra comunità, uno squarcio nella storia nazionale. Il 12 dicembre 1969 fu una giornata in cui i terroristi intendevano produrre una rottura nella società italiana, con ordigni fatti esplodere anche a Roma, generando caos e generalizzazione della violenza». Lo ha detto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione del 55esimo anniversario della strage in cui morirono 17 persone e causò decine di feriti.
«L'impronta neofascista della strage è emersa con evidenza nel percorso giudiziario, anche se deviazioni e colpevoli ritardi hanno impedito che i responsabili venissero chiamati a rispondere dei loro misfatti», ha proseguito Mattarella, che poi ha ricordato come il popolo italiano superò questa "prova terribile": «Fu anzitutto l'unità in difesa dei valori costituzionali a sconfiggere gli eversori e a consentire la ripresa del cammino di crescita civile e sociale. Milano fu baluardo e tutto il Paese seppe unirsi».
Piantedosi e La Russa
Nel giorno dell’anniversario della strage anche il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha diffuso una nota in cui ha definito la strage un «attacco vile e sanguinario al cuore della nostra democrazia». «Il terrorismo stragista sacrificò vittime innocenti nel tentativo di minare le fondamenta della Repubblica e le sue libertà», si legge nella nota del numero uno del Viminale.
«A 55 anni dalla strage di Piazza Fontana a Milano, ricordiamo le 17 vittime e le decine di feriti di una strage, il cui percorso giudiziario ha evidenziato l'impronta neofascista – scrive il presidente del Senato Ignazio La Russa –. Fu un atto terribile, che lasciò una ferita indelebile in un periodo buio e di forte tensione per la nostra Nazione, superato solo grazie al senso di coesione e alla volontà di ricerca della verità. Coltiviamo la memoria, ricordando e tramandando ai giovani che la pace è il frutto di un impegno costante per la giustizia e la libertà, affinché comprendano l'importanza e il valore della democrazia e delle Istituzioni».
La strage
Alle 16:37 del 12 dicembre 1969, un ordigno esplose nel salone centrale della banca nazionale dell'Agricoltura di Milano, in piazza Fontana. La bomba uccise 17 persone e altre 88 furono ferite. Poco prima dell’esplosione, un altro ordigno venne trovato inesploso nella sede della banca commerciale di piazza della Scala, sempre a Milano. Tra le 16:55 e le 17:30, a Roma, si verificarono altre tre esplosioni: una, all'interno della banca nazionale del Lavoro di via San Basilio; altre due sull'Altare della Patria di piazza Venezia. Questi attentati provocarono feriti e danni.
Le indagini inizialmente puntarono sulla pista anarchica: fu fermato Giuseppe Pinelli, ferroviere e figura di primo piano del movimento anarchico milanese. Durante il fermo, Pinelli morì precipitando dal quarto piano della questura e la dinamica della sua morte non fu mai chiarita. La stessa notte della morte di Pinelli venne arrestato Pietro Valpreda, anche lui militante anarchico. Valpreda fu coinvolto in diversi processi sulla strage, tuttavia alla fine fu assolto per insufficienza di prove. Dopo la pista anarchica le indagini si concentrarono sul quella che riconduceva l'attentato alla destra eversiva. In particolare ad alcuni esponenti del gruppo facente capo al terrorista nero Franco Freda e all’organizzazione di estrema destra Ordine nuovo con il coinvolgimento di esponenti dei Servizi. Nel 2005 la Cassazione mise la parola “fine” sul processo stabilendo che dietro l’attentato c’era il gruppo eversivo neofascista capitanato da Franco Freda e Giovanni Ventura.
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