La questione della dubbia costituzionalità dell’uso di armi italiane, fornite all’Ucraina, in territorio russo è tutt’altro che peregrina. Un tempo avevamo immaginato che l’Ue potesse e dovesse qualificarsi come “potenza gentile” incline a scommettere più sulla forza della politica e del diritto che non sulla fiducia nel ricorso alla forza militare. Evidentemente qualcosa è cambiato
Autorevoli editorialisti – da Paolo Mieli ad Angelo Panebianco – hanno mosso severe critiche al governo che, specie per bocca dei due ministri titolati in materia, Antonio Tajani e Guido Crosetto, hanno sostenuto la tesi secondo la quale l’uso in territorio russo delle armi da noi fornite all’Ucraina sarebbe in contrasto con la Costituzione.
Curiosamente, in una replica di Crosetto al Corriere della sera dal tenore comprensibilmente risentito, mancava un’aperta, rivendicata e soprattutto argomentata ripresa dell’orientamento adottato e della sua motivazione. Ovvero della tesi di un vincolo ostativo di natura costituzionale. Si parlava d’altro. Quasi si avesse esitazione a ribadire il suddetto orientamento.
Tanto più che i critici avevano formulato giudizi decisamente pesanti, accusando il governo di incoerenza, pavidità, inaffidabilità agli occhi dei tradizionali alleati. Un comportamento che, a loro dire, avallerebbe lo storico pregiudizio circa l’italico mix di furbizia e opportunismo.
L’articolo 11
Penso invece che la questione della dubbia compatibilità con l’articolo 11 della Costituzione sia tutt’altro che peregrina. Se ne trova riscontro nella discussione aperta dentro l’associazione dei costituzionalisti. La questione non può essere derubricata come – così taluni – attitudine a «cavillare» (cfr. Panebianco). Mi limito a qualche spunto.
Il primo: conosco l’esegesi dell’articolo 11, l’avvertenza di leggerlo e interpretarlo nella sua integralità. Non solo il ripudio della guerra ma anche la cessione di sovranità a organizzazioni internazionali che si adoperano per la pace e la giustizia. Con gli impegni conseguenti che liberamente assumiamo in e con esse. Solo mi chiedo se, da qualche tempo, quell’articolo non sia letto in senso inverso, depotenziandone l’incipit e la sua perentorietà.
Secondo: all’epoca, i costituenti, ripudiando la guerra di «offesa», consideravano una sola, stretta eccezione: la guerra di «difesa» della nostra patria come «dovere» in caso di aggressione a essa (vedi l’articolo 52).
Terzo: giusta e lungimirante la prospettiva di una «sovranità partecipata e condivisa», ma non meno importante l’esigenza di non sacrificare la norma circa il ripudio della guerra che va annoverata tra i “principi fondamentali” della nostra Carta.
Quarto: quando i costituenti scrissero quell’articolo, essi pensavano all’Onu quale organizzazione dedita alla pace e alla giustizia internazionale. Con il tempo, in una interpretazione analogica ed estensiva non è improprio pensare ad altri attori quali la Ue e la Nato. Tuttavia, distinguendone con cura natura e fini affatto diversi in rapporto alla finalizzazione alla giustizia e alla pace.
Quinto: agli opinionisti dai quali abbiamo preso le mosse, che, con leggerezza e sbrigativamente, esorcizzano il nodo della conformità costituzionale, meriterebbe chiedere se si dia qualche caso nel quale il ripudio della guerra abbia un efficacia pratica o se esso non si risolva in un mero, nobile auspicio privo di concreta rilevanza.
Giuseppe Dossetti, costituente, tra i materiali estensori dell’articolo 11, al tempo della guerra del Golfo, così si espresse: «Come italiano e antico costituente, noto che si è fatto dire all’articolo 11 ciò che non corrisponde né alla sua lettera, né al suo spirito, né nella prima parte, né nella seconda, la quale non attenua ma conferma il ripudio della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali».
Non ho certezze, solo mi piacerebbe che la questione costituzionale non fosse liquidata come un cavillo da azzeccagarbugli.
La forza della politica
Infine, un profilo politico, già accennato su Domani da Mario Giro. Il “ministro” degli esteri della Ue Josep Borrell si è segnalato per una singolare esuberanza nel teorizzare l’avallo europeo all’uso delle armi fornite all’Ucraina dai paesi Ue in territorio russo.
Uno zelo che suscita un paio di interrogativi. Il primo: l’impressione di una sproporzione tra l’enfasi sull’impegno Ue in materia di armi e la inerzia di essa sul piano delle iniziative politico-negoziali volte a porre fine al conflitto che dovrebbe vedere Borrell attivo protagonista.
Secondo: fa una certa impressione constatare che, al riguardo, talvolta la Ue o comunque certi suoi rappresentanti mostrino di scavalcare Usa e Nato nell’investire sullo strumento militare. Un tempo avevamo immaginato che, per vocazione storica e ideale, semmai la Ue potesse e dovesse qualificarsi come “potenza gentile” incline a scommettere più sulla forza della politica e del diritto che non sulla fiducia nel ricorso alla forza militare.
Evidentemente qualcosa è cambiato, e non è una buona notizia. Secondo papa Francesco «l’Europa, grazie alla sua storia, rappresenta la memoria dell’umanità ed è perciò chiamata a interpretare il ruolo che le corrisponde: quello di unire i distanti, di accogliere al suo interno i popoli e di non lasciare nessuno per sempre nemico». Ma, si sa, per gli uomini di mondo, il papa è un ingenuo visionario.
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