La Corte, nella sua ordinanza, ritiene che i quesiti siano ancora pienamente legittimi, nonostante i cambiamenti sostanziali imposti dalla recente sentenza della Corte costituzionale. Rimane in piedi quello sulla totale abrogazione della riforma, cade invece quello sull’abrogazione parziale. La palla ora passa alla Consulta, che si esprimerà entro il 20 gennaio
Tutti «conformi alla legge». Più ordinanze con la stessa conclusione sono state depositate ieri dalla Corte di Cassazione, aprendo la strada a una serie di referendum: il più rilevante dal punto di vista politico è quello di abrogazione totale della riforma dell’Autonomia differenziata, ma a questo si aggiungono anche quello sul Jobs Act e la cancellazione dell’articolo 18 sui licenziamenti illegittimi e quello sui tempi dimezzati per ottenere la cittadinanza italiana.
L’ufficio centrale per il referendum della Suprema corte, infatti, ha completato il suo vaglio sulla conformità delle firme raccolte a sostegno dei quesiti e ora la decisione finale sulla legittimità del quesito passa alla Corte costituzionale, che dovrà decidere entro il 20 gennaio se i quesiti siano ammissibili.
L’ordinanza più attesa era appunto quella sulla riforma dell’Autonomia differenziata, misura bandiera della Lega e già parzialmente smontata dalla recente sentenza della Corte costituzionale. In ventotto pagine, i giudici hanno ammesso parzialmente la richiesta di referendum. Le richieste di abrogazione, infatti, erano due: è stata accolta quella di abrogazione totale della riforma presentata con la raccolta firme, è caduto invece il quesito di abrogazione parziale presentato dai Consigli regionali, motivando la decisione col fatto che i punti oggetto di referendum erano già stati espunti o riformati dalla Consulta.
In attesa di leggere le motivazioni della decisione, tuttavia, emerge un dato: la Cassazione ha ritenuto di non considerare superato il referendum, dunque non ha ritenuto sostanziali le modifiche imposte dalla sentenza costituzionale. Altrimenti, come da giurisprudenza costituzionale, il quesito non avrebbe dovuto essere dichiarato conforme.
Adesso il quesito di abrogazione totale passa a palazzo della Consulta, dove i giudici si pronunceranno sulla sua ammissibilità. La Corte dovrà valutare se sono presenti i requisiti di chiarezza, semplicità e non contraddittorietà, in modo che il quesito sia intelleggibile e non influenzi la libertà di voto. In questo sindacato, che riguarda il merito del quesito, certamente entrerà in gioco anche il contenuto della sentenza che ha dichiarato la parziale incostituzionalità della riforma e imposto la necessità di modificarne in modo sostanziale alcune parti.
Le reazioni
Se anche la Consulta si pronunciasse a favore dell’ammissibilità del referendum abrogativo, la consultazione si celebrerebbe in una delle domeniche comprese tra il 15 aprile e il 15 giugno 2025. Dal punto di vista politico, però, sarebbe una consultazione peculiare: i cittadini, infatti, sarebbero chiamati a esprimersi sul sì o no a una autonomia di fatto vuota, perché la legge oggetto di referendum dovrà comunque essere riscritta in modo strutturale per adempiere alle indicazioni della Corte costituzionale. Come e con che tempi questa riscrittura potrà avvenire - con la riduzione delle materie su cui è possibile concedere l’autonomia e i paletti per la fissazione dei livelli essenziali delle prestazioni – è ancora incerto. In altre parole, il sì o il no riguarderà una legge i cui contorni non saranno definitivi.
La decisione della Cassazione è stata accolta come «una buona notizia» da parte della segretaria del Pd, Elly Schlein, la quale ha però aggiunto che «dopo la pronuncia della Corte Costituzionale bisognerebbe che il governo fermasse i negoziati sulle intese e che si fermasse. Noi andremo avanti in questa battaglia». Anche il Movimento 5 Stelle in una nota ha definito la decisione «una nuova sonora bocciatura per il governo e per la maggioranza, che sono andati avanti a testa bassa nell'approvazione della legge, nel contrasto al referendum e nella volontà di perseverare anche dopo che la Corte Costituzionale ha svuotato la legge cancellandone i pilastri principali». Uno dei più attivi promotori dei referendum come il segretario di Più Europa, Riccardo Magi, ha detto che «se la Corte costituzionale ne confermerà l'ammissibilità, ci aspetta una splendida primavera referendaria» e «una grande occasione di mobilitazione».
Sul fronte opposto, il centrodestra non si è scomposto e il presidente del Senato, Ignazio La Russa, ha ostentato tranquillità: «La democrazia diretta è la cosa migliore». Se il segretario della Lega Matteo Salvini non ha voluto commentare («di Autonomia si occupa il ministro Calderoli») il governatore leghista veneto, Luca Zaia, da sempre in prima linea per ottenere l’autonomia, ha detto che «noi andiamo avanti» e, in aula del consiglio regionale, ha quasi sfidato le opposizioni del centrosinistra: «Ora avete un problema, cioè quello di trovare i voti».
Quella dell’Autonomia, infatti, è una legge ordinaria e dunque il referendum abrogativo prevede la presenza del quorum del 50 per cento più uno degli aventi diritto. Una soglia non semplice da raggiungere: l’ultima volta è successo nel 2011 con i quesiti sull’acqua pubblica, il nucleare e il legittimo impedimento.
Tuttavia, la politicità del quesito potrebbe aiutare l’opposizione: contro l’autonomia differenziata definita “spacca Italia”, infatti, c’è già stata una ampia mobilitazione del Meridione, che ha interpretato la riforma come molto penalizzante nei confronti delle regioni del Sud. Un sentimento, questo, trasversale ai partiti e che è stato esplicitato anche da amministratori del centrodestra e in particolare di Forza Italia. Certamente si tratterebbe di una campagna elettorale molto polarizzata. In ogni caso, l’ultimo via libera spetta alla Consulta.
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