Non è bastata la sentenza severissima della Corte costituzionale: i leghisti sostengono che, nonostante tutto, il ddl Calderoli stia «ancora in piedi». Quelli della minoranza chiedono invece che venga azzerato.

Anche i costituzionalisti si dividono sullo svolgimento del referendum: quelli del Comitato sono certi che il voto si farà, e che la battaglia deve andare «avanti tutta», come ha scritto Massimo Villone sul Fatto Quotidiano. Altri invece sostengono che, demolita la legge in tanti punti, anche il quesito viene meno.

Prossima tappa è alla Cassazione, il vaglio di «legittimità» del quesito: non solo la verifica della validità delle firme (sono più di un milione); il vero busillis è se il quesito resta valido sulla «normativa residua», cioè dello zombie del ddl Calderoli. La decisione arriverà entro il 15 dicembre, ma cerchiata di rosso è la data del 12. Intanto entro il 9 il Comitato promotore deve inviare le proprie «osservazioni scritte».

Le ha chieste la stessa Cassazione con una «ordinanza interlocutoria» depositata il 2 dicembre. Se la Suprema Corte stabilirà che il referendum può proseguire, l’ultimo vaglio, di «ammissibilità», sarà quello della Corte costituzionale, entro il 20 gennaio 2025.

Ddl demolito ma non troppo

Intanto una cosa è certa, secondo il costituzionalista Gaetano Azzariti: «La sentenza della Corte è una grande vittoria di chi ha firmato per l’abolizione del ddl Calderoli. In ogni caso obbliga a un cambiamento radicale del testo e influenza il futuro dell’autonomia differenziata».

Che è l’opposto di quello che in queste ore sostiene la Lega. Per il ministro Calderoli il testo della sua legge ne esce vivo, magari malconcio ma vivo. Per il presidente del Veneto Luca Zaia «alla fine la Corte dice per 14 volte, su 14 punti, la legge sta in piedi, è costituzionale. Ci sono delle modifiche da fare». Tutto il contrario per le opposizioni.

Il rossoverde Angelo Bonelli: «La Corte ha demolito legge Calderoli. L’Autonomia differenziata, così com’è, non può reggere. Deve essere completamente riscritta». Chiara Braga, capogruppo Pd alla Camera: «È tempo che la maggioranza archivi il progetto di spaccare l’Italia, come del resto già chiedeva l’adesione massiccia alla richiesta di referendum».

Le minoranze chiedono che la premier vada in parlamento per dire come la destra intende andare avanti, ma intanto, avverte Braga, «blocchino subito le intese avviate con le Regioni», e cioè Liguria, Veneto, Lombardia e Piemonte. Il dem Marco Sarracino ha depositato un’interrogazione in commissione rivolta al ministro degli Affari regionali perché, spiega, «dalla stampa è arrivata notizia che il Clep, il Comitato per la definizione dei Lep presieduto da Sabino Cassese, nonostante la Corte, ha continuato ad andare avanti, fissando al 18 dicembre la data del completamento dei lavori; ma dalla pubblicazione della sentenza questo organismo è senz’altro da ritenersi estinto».

In parlamento la destra sbanda: capire come ripartire non è facile. Né FdI né Forza Italia hanno alcuna fretta: hanno subìto l’accelerazione di Calderoli come un’amara necessità, e ora lo stop sostanziale della Consulta è tutto di guadagnato. La premier Meloni peraltro dà per scontato che ormai il referendum non si farà: un problema in meno per il governo.

Avanti popolo

Nel campo anti-Calderoli invece c’è chi dà per certo l’opposto. Villone, sulla Notizia, testata vicina ai Cinque stelle, sostiene che «il quesito referendario totale non perde il suo oggetto perché la legge rimane in larga parte vigente, dal momento che non c’è illegittimità della legge come tale».

Molto meno sicuro il professore Stefano Ceccanti: «Sembra impossibile negare che siano cambiati i “principi ispiratori” e “i contenuti normativi essenziali” della legge: le due condizioni che la Corte costituzionale nella sentenza 68/1978 ritiene necessari per ritenere i quesiti referendari superati, esauriti e quindi non più proponibili al voto degli elettori».

E invece no, ribatte Alfiero Grandi, del Comitato promotore, e cita un precedente: «In vista dei referendum del 2011, Antonio Di Pietro ha raccolto le firme per abrogare il legittimo impedimento che Berlusconi aveva fatto approvare, per non andare alle convocazioni dai giudici.

La Corte era già intervenuta sterilizzando di fatto la norma. Anche in quel caso, come oggi, molti ritenevano superato il problema. Ma sia la Cassazione sia la Consulta accolsero il quesito di Di Pietro, che divenne il quarto referendum, e passò. E il legittimo impedimento è finito alla discarica».

Anche sul nucleare il governo tentò un’operazione simile, ma il referendum fu ammesso e vinse. Conclude Grandi: «Perché ora le Corti dovrebbero bloccare il referendum su quello che resta della legge, che il governo per primo conferma esistere?»

In ogni caso il Comitato promotore, nelle sue osservazioni alla Cassazione, sosterrà che il referendum abrogativo s’ha da fare. Convintissima dello svolgimento della consultazione è anche la Cgil: per tutti i motivi in punta di Costituzione sostenuti dai giuristi; ma anche perché in primavera si voteranno anche gli altri referendum sindacali, fra cui quello che chiede l’abolizione del Jobs act.

E avere nella scheda quello contro l’autonomia, su cui i sondaggi segnalano il parere negativo della maggioranza dei cittadini, può fare la differenza per il raggiungimento del quorum.

© Riproduzione riservata