Il controllo del ministero sulle asl è stato cancellato dopo le proteste di Lega e Regioni. Mentre i ministri di FdI resistono a devolvere subito le materie non Lep alle regioni del nord
Sì all’autonomia differenziata sulla carta, molte perplessità in più nel darle corpo. E’ con questo dualismo che il centrodestra si sta scontrando, con l’emersione sempre più forte di posizioni diverse da parte della Lega rispetto al resto del governo.
Da ultimo, sul decreto liste d’attesa nelle Asl, che è ancora in attesa di conversione ed è fermo al Senato a causa proprio di uno scontro dentro la maggioranza. A far saltare il banco è stato l’articolo 2, che prevede un controllo centralizzato da parte del ministero della Salute, con la possibilità di sanzionare le Asl dove le file sono troppo lunghe, ma anche la previsione che le piante organiche debbano essere approvate con un decreto ministeriale.
La previsione aveva fatto scatenare le Regioni già in giugno quando il dl è stato presentato, con il risultato che la settimana scorsa è stato emesso parere negativo tanto più significativo, visto che 15 regioni su 20 sono guidate dal centrodestra. Due le critiche principali: il fatto di non essere state ascoltate ma soprattutto di vedersi scavalcare in una materia che, secondo la Costituzione, è di competenza regionale e solo in via residuale dello Stato.
All’attacco è andata anche l’opposizione e in particolare Pd, con la segretaria Elly Schlein che ha parlato di un decreto «fuffa perché racconta agli italiani di poter affrontare il problema delle liste d’attesa senza metterci un euro» visto che sono stanziati appena 300 milioni di euro, ma anche «zuffa, viste le liti in maggioranza».
Il veto sul testo però è stato imposto dalla Lega, che dopo uno scontro dentro la maggioranza ha infine ottenuto la cancellazione dell’articolo 2, sostituito con la previsione che i controlli e gli interventi correttivi vengano svolti dalle Regioni attraverso il responsabile unico regionale dell’assistenza sanitaria. Solo così, infine, il dl potrà passare oggi a palazzo Madama e poi domani alla Camera per la corsa al via libera definitivo.
Le questione più profonda, però, riguarda il metodo: chi ha congegnato il decreto non poteva non rendersi conto di introdurre un elemento stonato nella cornice di un progetto politico che almeno formalmente punta a incentivare l’autonomia delle regioni.
Ecco quindi servito il pasticcio di maggioranza, condito con la furia della Lega che ha appena finito di festeggiare l’approvazione dell’autonomia differenziata ma si sta rendendo conto di avere in mano solo un pezzo di carta.
I Lep
I livelli essenziali della prestazioni sulle materie per cui sono previsti sono ancora lontani dal venire quantificati («se ne riparlerà dopo dicembre», è ciò che trapela da fonti di Fratelli d’Italia, scavalcando dunque la prossima legge di Bilancio), dunque le regioni dovranno ancora pazientare per ottenere le competenze.
Le regioni leghiste del nord – col Veneto in testa – però, si sono già mosse per chiedere la potestà nelle cosiddette materie “non lep”, ovvero quelle per cui non serve quantificare il fabbisogno standard. Lo scalpitante Luca Zaia ha immediatamente aperto l’iter per ottenere l’autonomia su tutte e nove, a partire dalla protezione civile che permetterebbe alla regione di occuparsi in proprio delle emergenze.
Col risultato, però, di vedersi rimbalzare la richiesta da un gelido ministro di Fratelli d’Italia, Nello Musumeci, che ha la delega al settore: «Zaia non corra» ha detto, parlando chiaramente di «perplessità» e invitando Zaia di aspettare il via libera dei Lep prima di procedere. Sulla stessa lunghezza d’onda anche se senza accedere in dichiarazioni pubbliche sono anche gli altri ministeri interessati: quello del Made in Italy di Adolfo Urso e dell’Agricoltura, di Francesco Lollobrigida.
Sotto il velo del sì all’autonomia, dunque, si nasconde un tiro alla fune inevitabile: da una parte i ministeri, estremamente restii a cedere le loro competenze, dall’altra le regioni che invece le rivendicano.
Fino ad oggi, la strategia di FdI è stata quella di tergiversare, visto appunto che la riforma stessa prevede due anni per fissare i Lep. Un modo per non mettere in agitazione le regioni del sud, in buona parte governate da Forza Italia, e per aspettare anche le mosse dell’opposizione che sta lavorando ad un referendum abrogativo ma potrebbe essere boomerang, visto che prevede il raggiungimento del quorum che è stato raggiunto l’ultima volta 13 anni fa.
Eppure, come è successo ora sul dl Sanità, le tensioni sono destinate ad emergere in modo sempre più evidente e costante, con una polarizzazione netta: la Lega, dopo aver cantato vittoria, non può arretrare, Fratelli d’Italia e soprattutto Forza Italia, invece, non possono permettersi di indispettire il loro elettorato del sud e culturalmente sono in grande difficoltà a difendere un progetto mai veramente condiviso. Il primo a dirlo in modo chiaro è stato il governatore calabrese Roberto Occhiuto, ma anche la frenata dei ministri di FdI ha svelato il bluff.
A non voler sentire ragioni, però, sono i governatori leghisti: Zaia è deciso ad essere il presidente che darà al Veneto l’autonomia, e anche Massimiliano Fedriga e Attilio Fontana sono decisi a seguirlo. Con il rischio che lo scontro deflagri più prima che poi.
© Riproduzione riservata