Montecitorio ha dato il via libera al regionalismo differenziato, ma resta il nodo dei Lep: senza l’individuazione delle materie essenziali e dei costi la riforma non può partire. Dalle procedure per le intese alle materie interessate: come funziona la «secessione dei ricchi»
Dopo mesi di discussioni e dopo una seduta fiume notturna, anche la Camera dei deputati ha approvato il ddl Calderoli. Con il via libera definitivo di Montecitorio (che ha portato anche a un parapiglia tra alcuni deputati nei giorni precedenti all’approvazione), dopo quello al Senato dello scorso 23 gennaio, l’Autonomia differenziata è ufficialmente legge: una misura quadro e procedurale che mira ad attuare la riforma del Titolo V della Costituzione del 2001. Ma cosa prevede il testo?
Una legge-quadro ordinaria
Il ddl sull’Autonomia differenziata è una legge-quadro di 11 articoli che individua i criteri e le procedure per attribuire alle regioni «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» sulla base di un'intesa fra lo Stato e la regione interessata. La misura che porta la firma del ministro per gli Affari regionali, il leghista Roberto Calderoli, non è quindi una riforma costituzionale, ma una legge ordinaria che applica il terzo comma dell’articolo 116 – il vero cuore delle modifiche in senso federalista del Titolo V della Costituzione –, finora rimasto solo sulla carta.
Nel testo si specifica che le richieste di ulteriori forme di autonomia, rispetto a quelle già attribuite nell’articolo 117 della Costituzione, devono partire dalle regioni a statuto ordinario, sentiti gli enti locali. «Si stabilisce che l'atto di iniziativa sia preso dalla regione interessata, sentiti gli enti locali, secondo le modalità previste nell'ambito della propria autonomia statutaria – si legge nel testo –. L'iniziativa di ciascuna regione può riguardare la richiesta di autonomia in una o più materie o ambiti di materie e le relative funzioni. Segue il negoziato tra il governo e la Regione per la definizione di uno schema di intesa preliminare».
Le materie
La procedura è la seguente: la regione interessata chiede maggiore autonomia in uno o più ambiti ora di competenza statale o concorrente, e poi negozia con il governo un accordo preliminare. Ma quali sono le materie in cui le regioni potranno avere più autonomia?
Quelle specificate al terzo comma dell’articolo 117 della Costituzione, quelle concorrenti, e al secondo comma, quelle finora in mano esclusivamente allo Stato. In totale sono 23: dalla sanità all’istruzione, dal lavoro all’ambiente, dalle infrastrutture all’università e alla ricerca. Ma anche la giustizia di pace, l’energia, i rapporti con l’Unione europea, e così via.
In tutte queste materie lo Stato potrebbe perdere quasi ogni ruolo: tradotto, potrebbe voler dire che potenzialmente si potrebbero avere 20 sistemi sanitari o scolastici diversi. Con inevitabili differenze qualitative tra le regioni, molto più di quello che già accade ora.
Il nodo dei Lep
Le materie che concernono i «diritti civili e sociali», specifica l’articolo 3 del ddl Calderoli, devono rispondere ai cosiddetti Lep, i livelli essenziali delle prestazioni, «che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale». In altre parole, vuol dire che per aree come la sanità, l’istruzione o i trasporti pubblici, è lo Stato a dover determinare quali sono i livelli minimi che devono essere garantiti a tutti i cittadini.
Quello dei Lep è il nodo più problematico del ddl, perché in assenza di una loro individuazione l’Autonomia differenziata non può che rimanere sulla carta. La determinazione dei costi e dei fabbisogni standard (e quindi dei Lep) avverrà a partire da una ricognizione della spesa storica dello Stato in ogni regione nell'ultimo triennio.
Al netto degli slogan politici, se manca l’indicazione delle risorse la riforma parte zoppa. E in questo momento non esiste nemmeno una stima. Una prima commissione, presieduta da Sabino Cassese, ha concluso con una relazione finale di 753 pagine l’individuazione delle materie Lep – quelle che concernono i diritti civili e sociali, 14 su 23 – ma all’interno della stessa commissione, composta da 61 professori, non c’è stata unanimità su quelle “non Lep”.
La relazione conclusiva verrà trasmessa al parlamento e alla commissione tecnica per i fabbisogni standard, la seconda struttura tecnico-politica che ha sede al ministero dell’Economia per dar vita al vero motore della riforma Calderoli.
La commissione tecnica dovrà stabilire con quale ammontare economico andranno garantiti i servizi individuati dalla commissione Cassese: cifre che però sono ancora in corso di individuazione.
La cabina di regia
Il vertice della piramide è la cabina di regia del governo, presieduta dal presidente del Consiglio e costituita da ministri competenti nelle materie interessate, oltre che dai presidenti della Conferenza delle regioni e delle province autonome, dell’Unione delle province italiane e dell’Anci. A quest’organo governativo spetterà l’ultima parola sulle materie riferibili ai Lep e dovrà effettuare periodicamente la ricognizione del quadro normativo in relazione a ciascuna funzione (statale e delle regioni ordinarie).
L’articolo 4 del ddl Calderoli, modificato da un emendamento di Fratelli d’Italia, stabilisce che il trasferimento delle funzioni alle singole regioni sarà concesso solo dopo la determinazione dei Lep anche per le regioni che non hanno richiesto l’autonomia e sulla base delle risorse disponibili in legge di bilancio.
I tempi
Il ddl Calderoli individua anche dei tempi precisi. Il governo ha 24 mesi di tempo per varare uno o più decreti legislativi per determinare i livelli e i fabbisogni dei Lep. Sono cinque i mesi che regioni e Stato hanno per trovare un accordo.
Le intese, poi, possono durare fino a dieci anni per poi essere rinnovate, ma possono anche essere disdette in anticipo con un preavviso di 12 mesi.
La clausola di salvaguardia
L’ultimo articolo del ddl estende la legge anche alle regioni a statuto speciale ma, soprattutto, inserisce una «clausola di salvaguardia»: il governo potrà sostituirsi alle regioni quando gli enti interessati si rivelino inadempienti rispetto a trattati internazionali o normative comunitarie o vie è pericolo per sicurezza pubblica o per tutelare unità giuridica e economica.
In particolare, per quest’ultimo caso, si citano «la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni sui diritti civili e sociali».
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