Il personale ospedaliero è preoccupato per i fondi della sanità pubblica. Il 68 per cento dei malati si rivolge al privato, altri rinunciano alle cure
Tra la difficoltà di reperire i dati sulle liste d’attesa e il nuovo pacchetto di norme sulla sanità del governo, permane lo stato d’agitazione per la sanità pubblica, che necessita di riforme urgenti, che ancora non si vedono.
La signora P., di 84 anni, che vive da sola ed è affetta da edema agli arti con insufficienza venosa, tenta di prenotare una visita da un mese e non può permettersi, con la sua pensione minima, di andare a farla a pagamento.
La signora A., davanti alla farmacia, racconta: «Sto cercando di prenotare una visita specialistica per rinnovare gli ausili ortopedici in una struttura pubblica: non ho mai trovato posto, ma non perdo la speranza». La speranza pare ormai l’unica cosa cui cittadine e cittadini possono aggrapparsi per essere presi in carico dal Sistema sanitario nazionale (Ssn), al quale contribuiscono con le loro tasse.
Le storie di P. e A., sono le storie di tantissime persone che sono bloccate in un limbo: liste bloccate, visite ed esami strumentali a più di un anno di distanza o in posti lontanissimi, mentre il privato convenzionato cavalca l’emergenza della sanità pubblica.
Le preoccupazioni
Il personale ospedaliero si dice preoccupato per i fondi che passerebbero dalla sanità pubblica a quella privata. Altro dato allarmante riguarda il nuovo rialzo, dopo quello già previsto nella scorsa manovra, dei tetti di spesa per ricorrere al privato. Tutto questo lascia interdetti lavoratori e lavoratrici della sanità.
Come hanno ricordato in una nota il segretario nazionale Anaao-Assomed Pierino Di Silverio e il presidente nazionale Cimo-Fesmed Guido Quici, «ridurre i sempre più lunghi tempi di attesa è un diritto del cittadino e un dovere del governo, ma occorrono misure strutturali con risorse adeguate e durature nel tempo. È quindi inimmaginabile separare gli interventi organizzativi dai finanziamenti, rinviando questi ultimi ad altri tempi».
Per Marco Caldiroli, presidente nazionale di Medicina democratica, «i contenuti del dl da un lato non fanno altro che confermare alcuni principi di base del Ssn (Cup davvero unico, tempi in linea con i Lea) e anziché aggiornarli, non vanno oltre alla richiesta di straordinari da parte degli operatori: ulteriori forme di rapporto di lavoro precario, pseudo autonomo, e spostamento di attività sulle farmacie, quasi tutte private. Nemmeno parlando di salute mentale ci si ricorda del ruolo delle case di comunità. Le regioni vengono “commissariate” mentre il governo parla di autonomia differenziata».
La vita delle persone
La situazione delle liste d’attesa è tuttora in piena crisi. Come racconta la dottoressa Carla Capriotti, farmacista e responsabile delle prenotazioni di esami e visite al Cup di Bologna, «quello che avviene normalmente è che le pazienti e i pazienti vengono indirizzati al Cup con la ricetta per prenotare visite o esami, si aprono poi delle finestre con giorno, ora e il posto dove prenotare ma nella maggior parte dei casi gli appuntamenti hanno delle tempistiche lunghe» e questo significa che si trova costretta a «inserirli nella presa in carico, una sorta di lista d’attesa, in cui si immettono le prescrizioni in un portale, che poi viene gestito da un operatore Asl che dovrebbe andare a scorrere, a seconda dell’urgenza, e che in un secondo momento prenoterà la visita o l’esame strumentale in un tempo variabile tra i cinque giorni e più di un anno; ma a volte capita anche che non vengano mai più chiamati».
Questo vale sia per visite di routine sia per gli esami strumentali. Il fatto di essere ricontattati è una situazione «utopica, e non lo dico solo io qui a Bologna, ma anche molti altri colleghi e colleghe». La situazione è difficilissima per più ragioni, tra cui la presa in carico: «Spesso i pazienti non la accettano e preferiscono tornare il giorno successivo, sperando siano stati aggiunti posti per la visita o l’esame, anche perché loro sanno – come noi – che in quel caso c’è una sorta di buco nero in cui, alla fine, i pazienti non sono mai stati richiamati da nessuno».
C’è poi un altro dato: non tutte le persone hanno i mezzi e le possibilità di spostarsi per fare una visita: «Ci sono difficoltà a spostarsi unite alla mancanza di mezzi autonomi per poterci provare. Per le persone anziane problemi di deambulazione e mancanza di qualcuno che li assista: molti non lo fanno perché devono eseguire esami invasivi e non possono gestire in autonomia quaranta o cinquanta minuti di strada».
Il decreto sulle liste d’attesa le sembra piuttosto nebuloso: «Riporta come novità delle situazioni che funzionano già in quel modo, sia sulle priorità sia sul dover nominare la possibilità dei centri accreditati, ovvero dei privati convenzionati. Tutte cose che già facciamo».
C’è da dire che nel privato convenzionato le cose funzionano su due piani differenti: lo si può trovare come possibilità di appuntamento del Ssn e dunque con la stessa tariffa del ticket, oppure, se il posto non viene trovato in questa modalità, i cittadini e le cittadine non pagano più lo stesso ticket che si pagherebbe in una struttura pubblica: «Nei privati accreditati c’è quasi sempre posto: prendono una parte di soldi dall’utente e una parte dal Ssn. Se una visita dermatologica, senza esenzioni, costa 23 euro, nel privato la paghi sui 60 euro» ma non tutte le persone possono permetterselo, e alla fine o rimangono in liste d’attesa lunghissime o, nel peggiore dei casi, rinunciano a effettuare le visite, rinunciando così alle cure.
La storia della signora O. di 86 anni, è emblematica e terribile. Nell’ultimo anno ha avuto diversi problemi cardiaci e racconta che «dopo il ricovero, ho sofferto di forti dolori alla schiena, mi impediscono di stare in piedi». Dopo varie terapie che non hanno funzionato il medico le ha prescritto una risonanza magnetica (Rmn) e una visita antalgica: «Sono più di quattro mesi che sono in attesa. Sono stanca, non ho più voglia di curarmi».
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