Il campo largo del centrosinistra ha trovato un primo solido punto di unità: la guerra all’autonomia differenziata della Lega. Dopo la Puglia del dem Michele Emiliano, infatti, anche la Sardegna della Cinque stelle Alessandra Todde e la Toscana di Ernesto Giani hanno promosso un ricorso presso la Corte costituzionale contro la legge Calderoli.

La strategia è quella di una sorta di manovra a tenaglia: raccolta firme per promuovere il referendum abrogativo e contemporanei ricorsi delle regioni davanti alla Consulta. Con l’obiettivo di tentare, in un modo o nell’altro, di sbarrare la strada a una legge ordinaria «spacca-Italia», come è stata ribattezzata dalle opposizioni.

I ricorsi costituzionali

L’ultimo ricorso annunciato è quello della Toscana: oggi il presidente Giani ne illustrerà i motivi. Si conoscono già invece quelli sollevati dalla Regione Sardegna, con la proposta già approvata in giunta su proposta della presidente Todde. Si tratta di un ricorso per richiedere la dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge per lesione delle attribuzioni regionali, in quanto «le disposizioni contenute nella legge sono irrimediabilmente in contrasto con molteplici norme della Costituzione e dello Statuto speciale della Regione Autonoma della Sardegna». In altre parole, la Sardegna lamenta un conflitto tra l’autonomia di Calderoli e non solo il principio costituzionale di uguaglianza, ma anche lo Statuto speciale della regione, che attribuisce specifiche competenze alla regione.

Secondo Todde, infatti, la legge «toglie risorse alla Sardegna, annacqua la sua specialità». In particolare, il punto dolente della riforma dell’autonomia sarebbe il calcolo delle risorse sulla base della cosiddetta spesa storica: «Le regioni del Nord sono diventate ricche con l'aiuto di tutti, con i soldi dello Stato» e ora «basarsi sulla spesa storica e quindi consentire a queste Regioni che hanno avuto di più di spendere di più anche sulla base di quello che possono trattenere è una cosa ingiusta».

Al netto del dato politico, il ricorso della regione Sardegna ha dunque una specifica in più rispetto a quello pugliese: venendo promosso da una delle cinque regioni a statuto speciale, l’arma in più del ricorso è quello di sostenere il contrasto con lo Statuto speciale, che è legge costituzionale. Questione, questa, fino ad ora mai sollevata. «Si tratta di un atto di grande coraggio e forza politica», ha commentato il leader Cinque stelle, Giuseppe Conte, parlando di «un messaggio chiaro a Palazzo Chigi e a tutta la maggioranza» per «dignità e pari diritti dei cittadini».

I motivi del ricorso sardo, poi, sono sostanzialmente diversi rispetto a quello promosso da Emiliano il 9 agosto scorso, di cui tuttavia il testo non è ancora noto per intero.La Puglia, infatti, ha presentato un ricorso sostenendo che la legge Calderoli è incostituzionale nella parte in cui permette il trasferimento di tutte le funzioni delle 23 materie previste dall’articolo 117 della Costituzione, perché così verrebbero violati i principi fondamentali di unità della Repubblica. Dunque, se questa interpretazione di totale devoluzione di funzioni fosse possibile, secondo il ricorso si aprirebbe l’ipotesi di dichiarare incostituzionale lo stesso articolo 116 terzo comma, che prevede la possibilità che siano attribuite «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia».

Una prima assoluta, a livello di giurisprudenza costituzionale. Il ricorso – il cui incarico è stato assegnato al costituzionalista Massimo Luciani, già presidente dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti - si fonda poi sul conflitto della legge con il principio di eguaglianza tra cittadini, considerato anche che la concessione di maggiore autonomia determinerebbe l’erosione delle risorse per il fondo perequativo, impedendo di finanziare gli specifici interventi per le regioni in maggiore difficoltà. «Questa iniziativa nasce con lo spirito di tutelare i cittadini italiani e l’unità stessa del nostro Paese», è stato il commento di Emiliano, che ha spiegato anche come l’impugnativa si affianchi al percorso referendario «offrendo una strada in più dinanzi alla Consulta».

Il referendum

Del resto, la strada referendaria è costellata di rischi. Certamente la massiccia mobilitazione con la raccolta firme ha già avuto un esito più che positivo con il boom delle 500mila sottoscrizioni online certificate ieri. Tuttavia la formulazione del primo quesito (cui potrebbe affiancarsene un secondo) è in bilico a causa di un aspetto tecnico e potrebbe non superare il vaglio di ammissibilità prima della Cassazione e poi della Consulta.

La richiesta, infatti, è quella di una abrogazione totale della legge Calderoli, la quale però è una collegata alla legge di Bilancio e – secondo il dettato costituzionale – su queste leggi il referendum non sarebbe ammissibile per l’intero testo. La valutazione, però, spetterà alle toghe. Sarebbe invece possibile promuovere un referendum su singole parti della legge e proprio in questa direzione dovrebbe andare il secondo quesito, pur nel rispetto del requisito di omogeneità.

Intanto, però, il no all’autonomia differenziata è diventato il vero punto che unisce Pd e Movimento 5 Stelle ma anche Alleanza verdi sinistra e Italia Viva, con consensi unanimi all’iniziativa di Todde e soprattutto la spinta coordinata per la raccolta delle firme per il referendum. Proprio l’ampia adesione popolare a questa chiamata alle armi potrebbe essere il vero motore per l’alleanza.

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