Il documento preparato dal gruppo dei dodici valuta il costo della vita e la densità della popolazione come requisiti chiave per ricevere le risposte
Tutto come previsto: a pagare il conto dell’autonomia differenziata a trazione leghista saranno le aree più povere del Mezzogiorno. Ormai sparite dal dibattito politico. Non sarebbe una novità, se non fosse che, dopo le dichiarazioni, ci sono i fatti a tratteggiare un quadro drammatico per il Sud. Il piano è messo nero su bianco nella bozza predisposta – ancora sotto forma di slide – dal gruppo di 12 presieduto da Sabino Cassese. Il tutto sarà illustrato oggi alle 11 e discusso in una riunione con il comitato di esperti. Stando alla prima analisi del documento, riguardo all’individuazione dei Lep (Livelli essenziali di prestazioni), Molise, Basilicata, Abruzzo e Calabria ne escono malissimo.
Il ddl Calderoli assomiglia all’attuazione di una secessione riveduta e corretta rispetto al sogno della prima Lega di Umberto Bossi. E d’altra parte si profila come uno schiaffo a Forza Italia e, in parte, di Fratelli d’Italia, che nelle settimane scorse avevano ribadito la necessità di trovare una soluzione condivisa.
Il documento di Cassese suona come una beffa ulteriore per gli alleati di Matteo Salvini: le regioni maggiormente penalizzate sono guidate dal centrodestra. In particolare dai berlusconiani, che contano sul presidente della regione Basilicata, Vito Bardi, e su quello della Calabria, Roberto Occhiuto. Mentre dall’Abruzzo resta in silenzio il fedelissimo di Giorgia Meloni, Marco Marsilio.
I contenuti della bozza
Ma cosa prevede nel dettaglio la bozza del gruppo di saggi capeggiato da Cassese? Prima di tutto l’obiettivo è quello di superare il principio della spesa storica, come ripetuto in più circostanze durante l’iter di approvazione della riforma Calderoli. E nella visione della Commissione designata dall’esecutivo, ci sono due criteri fondamentali, i pilastri dei Lep: il costo della vita e la valutazione socio-demografica.
Facile arrivare alla conclusione. Al Sud il costo della vita è inferiore rispetto alle regioni del Nord. Così l’Autonomia differenziata, attuata in questo modo, crea delle macro gabbie salariali. Dove i costi sono più alti devono arrivare più risorse. Ma non solo. Il criterio della densità demografica sarebbe il colpo di grazia alle zone che stanno subendo lo spopolamento, come quelle rurali che vanno dalla Calabria alla Basilicata, passando per l’Abruzzo fino alle aree interne della Campania.
Certo, si tratta solo di una bozza e il gruppo guidato da Cassese prevede dei fabbisogni standard per alcune prestazioni essenziali. In questo caso il documento prescrive che «nella determinazione dei fabbisogni standard è necessario che il livello della prestazione e la platea potenziale vengano definite dal decisore politico». Rimandando la scelta finale al parlamento.
Secessione segreta
Resta però la rotta indicata. E di fronte alle preoccupazioni la replica informale che è quasi sprezzante: «Che ci siano degli indicatori differenziali è ovvio. Sono inevitabili». L’esempio è quello di un raffronto tra «una metropoli e un paese in cima alle Dolomiti».
Il dialogo non è quindi all’ordine del giorno. «Alla fine con l’autonomia differenziata la secessione è arrivata», dice a Domani il deputato del Pd, Marco Sarracino, che ha annunciato un’interrogazione alla Camera avere un chiarimento dal governo sul contenuto della bozza. L’operazione è stata portata avanti «in gran segreto», secondo i dem. Quindi Sarracino rilancia la necessità di «una audizione urgente del professor Cassese affinché si faccia una vera e propria operazione verità su come verranno determinati e finanziati i livelli essenziali delle prestazioni. A destra si proclamano patrioti ma alla fine distruggono la patria».
La battaglia è comunque solo all’inizio. Il “no” all’autonomia del governo Meloni è un collante per il campo largo. Vittoria Baldino, deputata del Movimento 5 stelle, non usa mezzi termini per bocciare l’iniziativa: «Se vivi al Sud, visto che la vita costa di meno, dovresti avere un salario più basso, e visto che nascono meno bambini, perché i giovani vanno via, dovresti avere diritto a meno asili e meno assistenza socio educativa, in parole povere servizi inferiori e meno soldi». E qui torna l’analisi dei mesi scorsi dell’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) quasi profetica: «Qualche ente potrebbe ricevere risorse inferiori a quelle necessarie a finanziare i Lep in base alle valutazioni nazionali».
Del resto il Mezzogiorno resta sempre più fuori dai pensieri del governo. Il confronto preliminare sulla manovra economica ha messo all’angolo qualsiasi spinta per il rilancio del Sud. Si parla di bonus per la natalità, di riduzione dell’Irpef al ceto medio e di rinnovo del taglio del cuneo fiscale. Il Meridione è il solito assente. Con un’aggiunta: per ora c’è un ministro a mezzo servizio, Raffaele Fitto, che legittimamente è in altre faccende, europee, affaccendato.
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