Ci vogliono quindici domande e quasi un’ora e mezzo prima che alla conferenza stampa di Giorgia Meloni venga nominato lo sparo di Capodanno, fuggito dalla pistola del deputato Emanuele Pozzolo di Fratelli d’Italia. E lì, con tutta calma – una calma generosamente concessa dai cronisti – arriva la risposta ormai scontata: ha chiesto «che Pozzolo sia sospeso da FdI». La premier pretende di cavarsela con una sospensione, poi si vedrà. Si rifiuta di fare una riflessione più generale sulla sua classe dirigente: nega due volte che siano degli «inadeguati», ma poi le scappa una mezza ammissione, e un messaggio in codice ai suoi: «Non son disposta a fare questa vita se persone intorno a me non sentono la responsabilità».
Non perde la calma – se lo è riproposto da giorni – ma si capisce che il suo partito è un tasto dolente: «L’accusa di familismo comincia a stufarmi», la sorella Arianna che ha nominato responsabile della segreteria politica di Fdi, «è da 30 anni militante di FdI, forse la dovevo mettere in una partecipata statale come fanno gli altri, l’ho messa a lavorare al partito mio». L’inconscio c’è: dunque ammette di “avercela messa lei”.
Per il resto la premier può rispondere quello che vuole, complice la possibilità di raccontare la sua versione senza contraddittorio: i cronisti possono porre una domanda e bersi la risposta, ma non replicare o dichiararsi insoddisfatti, come possono i parlamentari nei question time. Così, a dispetto dei numeri, può affermare che l’Italia è il paese che cresce di più in Europa, che l’autonomia differenziata «non è togliere a una regione per dare a un’altra»; che la gravidanza per altri per lei è un reato universale: anche se alla festa di Atreju ha applaudito calorosamente Elon Musk, padre di figli nati con Gpa. La domanda era: dunque ha applaudito un criminale? La risposta non arriva.
La mamma e il complotto
Dice che se le chiedessero di scegliere fra palazzo Chigi e sua figlia Ginevra «non avrei dubbi», ma le si chiedeva se la maggiore aspirazione di una donna deve essere la maternità, come afferma la senatrice Mennuni (FdI). Poi si ravvede: «Ma non condivido che un traguardo possa togliertene un altro. Ursula von der Leyen ha sette figli, Metsola quattro: si può fare». Sì, se ci fossero i nidi, per esempio: ma il suo governo li ha tagliati. Ripete senza complessi che la riforma costituzionale non toglierà poteri al capo dello stato: ma persino il presidente del senato La Russa ha dovuto ammettere il contrario due giorni fa alla Stampa. Se dovesse perdere il referendum costituzionale non si dimetterà: «Me ne andrò quando mi cacceranno gli italiani».
E qui arriva un grande classico, una combo fra vittimismo e complottismo: c’è chi, “rivela”, vorrebbe mandarla via prima. «Qualcuno ha pensato di dare le carte. In uno Stato normale non ci debbono essere questi condizionamenti. L’ho visto accadere, vedo degli attacchi, c’è chi pensa ‘ti spaventerai’, lo spera, ma non sono una persona che si spaventa facilmente». Chi? «Di più non dico», «Vedo quelli che pensano che ‘o fai quello che diciamo o...’ ma preferisco cento volte andare a casa». Insomma: resiste a complotti che non ci vuole svelare. In perfetto stile Crosetto. Dal microfono si sente: «Sto a morì, regà». I suoi si agitano, i cronisti meno: niente paura, deve solo andare in bagno.
Torna subito, e continua il suo volo sulle questioni. Non sa se si candiderà alle europee: propende per il sì «ma è una decisione che prenderò con gli altri leader». Sulle alleanze europee accarezza Salvini: «Con Afd ci sono distanza insormontabili, a partire dal tema del rapporto con la Russia, sul quale invece Le Pen sta facendo un discorso interessante». Quale? Non lo dice.
In Europa è pronta all’accordo con i popolari per la nuova Commissione eppure non è «disposta a fare una maggioranza stabile con la sinistra in parlamento»: qualcosa non torna, ma anche questo non glielo si può dire.
La sfida per Schlein
Per il voto di giugno cerca la sfida diretta con Elly Schlein e la blandisce: «Non mi convince la tesi di chi dice che candidarsi alle europee è una presa in giro dei cittadini perché poi ci si dimette: i cittadini lo sanno, anche questa è democrazia».
Aspetta al varco la leader Pd in tv, sicura di stravincere: «È normale e giusto che il presidente del Consiglio si confronti col leader dell’opposizione». A differenza del centrosinistra, non teme la competizione interna all’alleanza, né eventuali contraccolpi nella sua maggioranza: «Non mi pare ci sia da parte di alcuno la volontà di sottomettere la tenuta del governo all’interesse di partito».
Dopo l’apertura verso Le Pen, arrivano altri segnali di tregua con Salvini. Sui balneari la premier cerchiobotteggia fra le posizioni del leghista e i rilievi del presidente della Repubblica. E sul caso degli appalti Anas e sull’inchiesta sui Verdini dice che il ministro deve rispondere in parlamento: «Bisogna attendere il lavoro della magistratura» comunque «le intercettazioni fanno riferimento al precedente governo: Salvini non viene chiamato in causa». Lei non accetta lezioni morali dalle opposizioni: «A sinistra si è garantisti coi propri, cucce del cane comprese, e giustizialisti con gli altri». Non è vero quando era all’opposizione ha chiesto dimissioni a nastro.
Le poniamo allora una questione che non deve «attendere» il giudizio della magistratura: come rivelato da Domani, a dicembre il ministro Salvini ha incontrato il ceo di Huawei, che però è un cliente della società di lobbing dei Verdini senior e junior: è opportuno che il ministro incontri un cliente di una società di suoi parenti, o stretti congiunti? Risposta: «Non conosco il caso».
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