Sei referendari dell’autonomia differenziata, raccolte ben un milione e 300mila firme, organizzano le prossime mobilitazioni, la destra prepara l’affondo per le tappe intermedie. Argomentazioni non casuali affiorano dai conversari, sui giornali, a volte solo battute. Che però dimostrano, secondo il costituzionalista Gaetano Azzariti, che la Lega si dispone a «confondere l’opinione pubblica».

Per questo il giurista anticipa «oggi per domani» quello che bolle nella pentola secessionista. Le prossime tappe, preliminari al voto, sono due: il giudizio della Consulta sulla legittimità costituzionale della legge Calderoli, su ricorso presentato dalle regioni, il 12 novembre. E il vaglio di ammissibilità del quesito della stessa Corte, fra fine gennaio e inizio febbraio.

Nel primo step, sulla costituzionalità della legge, per Azzariti «quale che sia il giudizio della Corte potrebbe cambiare poco o nulla per chi sostiene il referendum: se fosse dichiarata l’incostituzionalità di alcune norme della legge n. 86, dovremmo chiedere di effettuare il referendum sulla parte residua. Se invece fossero respinte tutte le questioni di incostituzionalità delle Regioni, nulla cambierebbe per chi chiede l’abrogazione di una legge per ragioni di merito politico; e vuole contrastare il regionalismo egoistico. Il referendum diventerebbe l’ultima spiaggia per evitare il peggio».

Certo, se fosse dichiarata incostituzionale l’intera legge «avremmo vinto senza combattere, il referendum non si terrebbe. Ma anche se la Corte dovesse ritenere la legge non in contrasto con la Carta, la lotta referendaria andrà avanti. Ci sarà chi proverà a sostenere che il giudizio sulla costituzionalità assorbe quello sul merito. Falso: tutti i referendum del passato hanno avuto ad oggetto leggi su cui si è chiesto al popolo di esprimersi. La nostra domanda è chiara, secca, di merito: vuoi tu cambiare un sistema che si propone di disgregare l’Italia, accentuare le differenze, abbandonare i principi di solidarietà territoriale e eguaglianza in tutto il territorio nazionale? Se vuoi fermare la slavina, vota sì».

L’ammissibilità

La seconda tappa sarà il giudizio ammissibilità del quesito. Arriverà a gennaio, ad una Corte di diversa composizione rispetto all’attuale, visto che a dicembre termina il mandato di tre giudici oggi in carica e un quarto, già scaduto, è oggetto di un duro scontro parlamentare.

Sarà la partita decisiva. «I precedenti sono diversi e la giurisprudenza in materia è ondivaga. Ma le ragioni dalla parte del favor referendario sono solide». Per rispetto alla Corte, il costituzionalista non entra nel merito. Vuole però da subito confutare «i tre vizi che già oggi vengono prospettati per negare l’ammissibilità del quesito». Tutti infondati, a suo giudizio.

I tre vizi

Primo: la Lega sostiene il quesito non ammissibile perché “collegata con la legge finanziaria”. «La Corte ha sempre sostenuto che questa connessione dove operare “al di là della qualificazione formale”, “di per sé non idonea a determinare effetti preclusivi in relazione alla sottoponibilità a referendum” (così la sentenza n. 2 del 1994). Altrimenti basterebbe includere un qualunque disegno di legge tra i “collegati” alla finanziaria per impedire il referendum. Che il collegamento con la finanziaria in questo caso sia puramente formale, è “confessato” dalla dichiarazione di invarianza finanziaria (all’art. 9, della legge n. 86 del 2024). La legge Calderoli è una legge procedurale e non di spesa».

Secondo vizio: si tratterebbe di una legge “a contenuto costituzionalmente necessario”. Tradotto: «In passato l’inammissibilità dei quesiti è stata determinata dal timore che l’abrogazione determinasse “la soppressione di una tutela minima per situazioni che tale tutela esigono secondo Costituzione” (sentenza n. 35 del 1997)». Confutazione: «Non è il nostro caso: la legge Calderoli è, ripeto, di natura procedurale, per nulla necessaria per dare attuazione all’art. 116, terzo comma della Carta. Tant’è che le intese tra Stato e Regioni le si voleva approvare, dal governo Gentiloni e dal governo Conte I, anche in assenza di legge attuativa».

Terzo vizio: una presunta disomogeneità del quesito. «Ma il referendum contro l’autonomia differenziata ha natura dichiaratamente abrogativa. Non è applicabile tutta quell’ampia e controversa giurisprudenza (ad iniziare dalla sentenza n. 16 del 1978) elaborata per limitare i referendum manipolativi o di abrogazione parziale. La domanda scelta dei promotori è chiara, unitaria e onnicomprensiva». Il professore è convinto dunque che i referendari «abbiano buoni argomenti da far valere dinanzi alla Corte». Alla quale ora spetta la parola.

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