Il deputato è autore dell’emendamento approvato alla Camera che vieta la pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare, molto contestato da parte della stampa
Enrico Costa, deputato di Azione, c’è riuscito ancora: pur dall’opposizione, ha proposto e ottenuto l’approvazione di un emendamento dirompente in materia di giustizia e informazione. Come già in passato con il ddl sulla presunzione di innocenza, la norma che vieta la pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare ha fatto molto discutere i giuristi e la stampa ha gridato al bavaglio.
Costa, al suo emendamento sono state mosse moltissime critiche. Sul piano giuridico, il professor Giostra su Domani le ha contestato che il principio della presunzione di innocenza dovrebbe allora valere fino a sentenza definitiva, mentre nel suo testo l’ordinanza diventa pubblicabile con l’inizio del dibattimento.
Astrattamente può avere ragione, in pratica mi sembra una tesi che fortifica la mia posizione. Mi sembra che, sulla base di questa logica, posticipare la pubblicazione per stralcio alla fase del dibattimento sia comunque meglio di come è ora. Io ho previsto questo termine perchè con il rinvio a giudizio e il contraddittorio si apre una fase nuova. Evitare che il contenuto di un atto della fase delle indagini preliminari venga sbattuto sui giornali prima del dibattimento serve anche a preservare la verginità cognitiva del giudice del dibattimento.
Lei è anche l’autore delle norme sulla cosiddetta presunzione di innocenza, che impongono vincoli comunicativi alle procure. Ora invece sposta il mirino a valle sui giornalisti, invece che a monte su chi divulga gli atti, perchè?
Considero questa la seconda fase del recepimento della direttiva europea sulla presunzione di innocenza. La prima fase era appunto legata a fissare limiti nella comunicazione delle indagini, con l’individuazione di un percorso molto regolamentato che abbia al vertice l’unica voce del procuratore capo. Questa seconda fase serve a curare una stortura: che senso ha che il procuratore capo debba rispettare un certo perimetro comunicativo, se poi il cronista esce dalla sua porta e apre quella del Gip per ottenere il tomo dell’ordinanza di custodia cautelare? È un modo per aggirare il meccanismo, con le ordinanze che parlano al posto dei pm. Questo per me è il punto, come anche il fatto che la conseguenza in caso di violazione sia lieve.
Vorrebbe pene più severe per i giornalisti?
Io dico solo che il mio emendamento modifica l’articolo 114 del Codice di procedura penale e il reato previsto in caso di violazione è sempre quello di divulgazione arbitraria di atti, punito con una ammenda fino a 258 euro. Mi sembra che sia una anomalia e che lo sia sempre stata, infatti molti giornalisti corrono il rischio e pubblicano comunque gli atti coperti da segreto. Anche su questo ci sarà un ragionamento organico da fare.
Questo nuovo divieto, però, rischia di essere molto limitante per la qualità dell’informazione. L’ordinanza di custodia cautelare è un atto conosciuto dalle parti e il fatto che possa essere citato è molto più tutelante sia per il cittadino sia per l’indagato, rispetto a una qualsiasi sintesi giornalistica.
Le faccio una contro obiezione: un conto è dare la notizia di un fatto come un arresto, con le ragioni utilizzate dall’accusa, un altro è fare copia incolla di un atto che è unidirezionale visto che è il recepimento di una richiesta di arresto che potrebbe anche essere ribaltato dal riesame. Un atto – aggiungo - di centinaia di pagine, che contiene anche intercettazioni e informative della polizia giudiziaria e che contempla quasi sempre anche terzi. Per altro fino ad oggi, sapendo che le ordinanze potevano essere citate alla lettera, venivano scritte molto spesso più con un interesse di natura comunicativa che processuale. E il marketing giudiziario non ha niente a che vedere col processo.
Sta dicendo che i Gip scrivono le ordinanze di custodia cautelare pensando ai giornalisti che le leggeranno invece che all’indagato?
Dico che il contenuto dell’ordinanza è una bomba comunicativa, perchè contiene informazioni che servono a giustificare i gravi indizi di colpevolezza in una fase ancora di indagine, che non sono passate nemmeno al vaglio del Riesame. Queste informazioni possono stare in un atto destinato agli occhi delle parti ma non possono stare sui giornali, perché in quel momento la difesa non ha ancora toccato palla. E dico anche che, dal 2017 ad oggi, i giudici sapevano che le ordinanze erano pubblicabili e spesso erano finalizzate più alla comunicazione esterna che alla dinamica interna del processo.
La percezione, invece, è che negli ultimi anni ci siano state molte circolari dei vertici degli uffici per far sì che negli atti della fase delle indagini preliminari non fossero più ordinanze capestro da cui attingere intercettazioni anche irrilevanti, come è capitato in passato.
Sta andando meglio, è vero, anche grazie alle nuove norme sulla presunzione di innocenza sulla comunicazione di cui parlavamo prima. Ci sono ancora casi da monitorare, però, e il ministero sta lavorando per fare un bilancio delle conferenze stampa e della loro correttezza. La divulgazione delle ordinanze rimaneva fuori e io la ho aggiunta, proprio per chiudere l’ultima finestra di grave anomalia.
Non percepisce alcun rischio, nello scegliere il segreto come forma di garanzia? Il controllo pubblico di ogni limitazione della libertà personale è un modo per prevenire abusi.
Cosa c’entra il controllo dell’opinione pubblica? Non esiste il processo di piazza e i controlli devono essere fatti dai giudici nel processo. Del resto, la fase dibattimentale del processo non ha segreti e le prove si formano in udienza pubblica nel contraddittorio. Il problema è che ai giornalisti interessa solo la fase delle indagini: quando tutto diventa alla luce del sole, i riflettori mediatici si spengono. L’atto con finalità cautelare può essere ribaltato e un processo può finire con l’assoluzione e lo stato deve dare garanzia che un innocente ne esca senza danno, invece il marketing giudiziario e il processo mediatico lasciano ferite indelebili. La verità è che per molta stampa gli indagati non sono persone, ma notizie.
L’Fnsi ha chiesto al presidente della Repubblica di non firmare, ipotizzando una incostituzionalità. Cosa risponde?
Mi chiedo se prima del 2017 c’ero solo io, fino a quel momento i giornalisti come facevano? È stata la legge Orlando di quell’anno a rendere pubblicabile testualmente l’ordinanza di custodia cautelare, ma prima di quel momento nessuno considerava incostituzionale che non lo fosse. A differenza di quanto ha sostenuto il collega Federico Cafiero de Raho, io all’epoca ero ministro in carica del governo Gentiloni e non solo mi sono opposto, ma sono andato tra i banchi del mio gruppo e ho votato contro un disegno del mio stesso governo.
In ogni caso, questa sua iniziativa ha scaldato molto gli animi. Se lo aspettava?
Le battaglie garantiste non sono popolari, ma io sono un liberale e penso che servano a far progredire il paese e vado avanti nonostante gli insulti. Purtroppo ai temi della giustizia sono sensibili gli addetti ai lavori e chi ci è passato. Gli altri la vedono come una materia distante. I veri populisti sono quelli che soffiano sul fuoco del processo mediatico per vedere le inchieste rafforzate dal legame con l’opinione pubblica.
Lei, da deputato di opposizione, ha visto passare il suo emendamento con il via libera della maggioranza di centrodestra. Se ne è stupito?
No perchè sulle battaglie liberali abbiamo sempre trovato convergenza. Le dico di più, sono sicuro che se si fosse votato a scrutinio segreto si sarebbe raggiunta quasi l’unanimità in aula.
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