«Caro Ciriaco, ho saputo trattare un affare che avrebbe potuto schiacciare il nostro partito sulle posizioni meno difendibili e più oscure di alcuni ambienti di Oltre Tevere (...) I bacucchi dell'Ufficio Politico, di questo sinedrio a cui mi hai abbandonato, avrebbero fatto ben altri guai!».

Nel vuoto dell’estate romana, mentre nei palazzi è in corso l’ennesima crisi di governo (la caduta di Giovanni Spadolini porterà a uno Spadolini II identico al precedente), il 19 agosto 1982 il ministro del Tesoro, Beniamino Andreatta, scrive a Ciriaco De Mita, il segretario della Democrazia cristiana, un appunto sul programma economico.

Ma aggiunge a mano un post scriptum, poche righe, in cui c'è tutto il dramma politico che si sta consumando sullo scandalo della banca vaticana Ior e del Banco Ambrosiano.

Una personalità vulcanica

La lettera, inedita, è pubblicata nel prossimo numero della rivista dell’Arel interamente dedicata ad Andreatta, che del centro studi è stato il fondatore, «a 25 anni dal suo silenzio».

Il 15 dicembre 1999 Andreatta si sentì male alla Camera mentre seguiva in aula la discussione sulla legge finanziaria, precipitò in un sonno senza risveglio, morirà il 26 marzo 2007 dopo quasi sette anni di amore della famiglia e degli amici.

È stata tutta luce, si intitola il libro che gli dedicò la moglie Giana Petronio. Il volume dell’Arel, seguito con cura e dedizione dalla direttrice Mariantonietta Colimberti, che di Andreatta è stata stretta collaboratrice, consente di ripercorrere le numerose sfaccettature della sua «vulcanica e poliedrica personalità», come la definisce nell’introduzione il figlio Filippo.

L’intellettuale anticonformista. L’economista punto di incontro «tra il solidarismo cattolico e un certo rigore anglosassone», dice Romano Prodi che di Andreatta fu allievo e poi presidente del Consiglio, senza mai smettere di dargli del lei. Il cattolico impegnato nella sinistra democristiana e poi nell’Ulivo: «Il Centro non si trova elencando corporazioni e interessi, ma con invenzioni politiche». L’europeista integrale: «Chi confonde il senso dello Stato, di cui l’Italia ha tanto bisogno, con il senso della Nazione, ha buone chance di scivolare nel nazionalismo».

Tra le pagine recuperate c’è l’impegno, da ministro della Difesa, per cercare la verità sulla strage nazifascista del Cibeno di Carpi del 12 luglio 1944. «Se a volte la quotidianità della politica e le convenienze delle parti possono offuscare le radici nitide della nostra Repubblica, giornate come questa restituiscono ad ognuno il senso della propria identità nazionale», interviene nel campo di Fossoli nell’anniversario della strage, il 12 luglio 1998, lo stesso luogo in cui nel 2021 terrà il suo discorso-testamento il presidente del parlamento europeo, David Sassoli. Saluta con le parole Pietro Calamandrei, riferite ai combattenti per la libertà: «Vivi e presenti con noi finché in loro ci ritroveremo uniti».

La risposta ad Andreotti

È questa ispirazione repubblicana, costituzionale, a sostenerlo in un’altra Resistenza, contro i poteri occulti. Nel libro dell’Arel il capitolo che raccoglie i documenti sulla questione Ior-Banco Ambrosiano è introdotto da una foto di Andreatta con Tina Anselmi, nello stesso periodo presidente della commissione parlamentare di inchiesta sulla loggia massonica P2. Due figure unite dalla vicinanza con Aldo Moro.

Il 18 giugno 1982, il presidente del Banco, Roberto Calvi, era stato ritrovato impiccato al ponte dei Frati Neri a Londra. Il 2 luglio il ministro Andreatta parla alla Camera: «La vicenda dell’Ambrosiano rappresenta la più grave deviazione di un’importante istituzione bancaria verificatasi in un grande paese industriale in questi ultimi quarant’anni (...) una miscela di scorrettezze amministrative, di familiarità politiche, di legami indecifrati».

Per lui cominciano le pressioni, gli avvertimenti, l’isolamento politico. L’amico Fabiano Fabiani racconta di averlo accompagnato nell’agosto 1982 in piazza del Gesù, sede della Dc.

«“Mi ha convocato la Trimurti (Andreotti, Piccoli e Fanfani)”», mi dice. Entrò in una sala riunioni, ne uscì improvvisamente dicendo: “Gli ho detto che esco a comprare il tabacco per la pipa e torno”. Tornammo a via XX Settembre e firmò la liquidazione dell’Ambrosiano».

Ieri nel tuo scherzoso, ma aggressivo, elenco degli “amici” che mi piace sacrificare hai citato il Vaticano. La tua irriconoscenza in materia è enciclopedica; hai avuto la rara fortuna di un ministro cattolico liberale che ha saputo trattare con rara abilità un affare che avrebbe potuto schiacciare il nostro partito sulle posizioni meno difendibili e più oscure di alcuni ambienti di Oltre Tevere, e hai il coraggio di lamentarti! La stampa di tutto il mondo non ha in queste settimane mai coinvolto la D.C. in questo oscuro affare ed il merito è, scusa l'immodestia, tutto mio. I bacucchi dell'Ufficio Politico, di questo sinedrio a cui mi hai abbandonato qualche tempo fa, con la sola protezione del silenzioso Mino, avrebbero fatto ben altri guai!

(lettera al segretario della Dc Ciriaco De Mita, 19 agosto 1982)

In quel momento Andreatta sta per compiere 54 anni (era nato l’11 agosto 1928), in molti lo vorrebbero segretario della Dc o futuro presidente del Consiglio. Ma la verità viene prima della convenienza. «Molti anni dopo, parlando con una persona a lui molto vicina», scrive Mariantonietta Colimberti, rivelando un altro episodio sconosciuto e inquietante, «Andreatta raccontò di un incontro in cui Giulio Andreotti aveva provato a convincerlo a non mettere in liquidazione il Banco Ambrosiano perché c’era una cordata pronta a ricapitalizzarlo per oltre 1 miliardo di dollari. “Una cifra così ce l’ha soltanto la mafia”, aveva risposto il ministro».

L’8 ottobre 1992 Andreatta interviene di nuovo alla Camera. Lui, cattolico, ministro della Dc, chiede al Vaticano di restituire allo Stato i milioni di dollari che lo Ior di monsignor Marcinkus aveva trafugato al Banco Ambrosiano. «Nell’assumere questa posizione di fermezza ero consapevole dei rischi che il credito del paese avrebbe potuto correre», conclude quel discorso.

«Ma l’Italia non è una Repubblica delle banane; questa vicenda dovrebbe ricordarci che la fermezza non è la peggiore delle strade». I bacucchi di piazza del Gesù non stanno a guardare. Il presidente della Dc Piccoli lo attacca per «le gravi dichiarazioni». Il governo cade un mese dopo, Andreatta sarà estromesso dal ministero del Tesoro, resterà senza incarico ministeriale per undici anni. Nessuno seguirà la sua fermezza: né cattolici né laici, né destra né sinistra.

La coscienza libera

«In questa famiglia, la vita si difende fino all’ultimo», disse poco prima di entrare nel sonno profondo al figlio Filippo che scherzava su un suo ginocchio ammaccato («nella nostra famiglia l’umorismo nero è sempre stato incoraggiato e apprezzato»). Un dettaglio intimo che rivela la fede, «senza derive ideologiche o identitarie che potessero minare la libertà altrui».

Questo «omaggio corale» arriva in un momento di statisti piccoli piccoli. Ancora più prezioso perciò fare memoria di Beniamino Andreatta e delle sue lezioni, di un uomo di Stato animato da intense passioni, l’ispirazione cristiana e la laicità della politica, ma mai di parte, al servizio di tutti. «La verità, niente di più sovversivo», amava ripetere. La coscienza libera è tutta luce, che vince le tenebre.

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