Le polemiche sui fatti di Bologna. Bisognerebbe evitare di soffiare sul fuoco a meno che qualcuno, non solo in questo caso, ritenga che aizzare, insultare, usare le parole come clave gli sia di un qualche giovamento politico
Non esiste nessuna violenza inutile e la catena delle responsabilità comincia dall’alto con chi ha più potere e autorità. Chi usa la violenza persegue degli obiettivi più o meno specifici e realistici che non è difficile individuare e prevedere con riferimento ai precedenti e al contesto.
Chi è preposto all’ordine pubblico ha il dovere di mettere all’opera le abbondanti informazioni a sua disposizione. Per tempo. Non facendolo accetta indirettamente la responsabilità delle conseguenze del disordine.
Negare a CasaPound l’affiliazione con il fascismo non solo è sbagliato, ma sarebbe farle un torto. Che debba essere sciolta oppure no è un quesito legittimo, da sollevare e al quale dare una risposta costituzionale.
Provocazione fascista
Che nel corso di una campagna elettorale nella regione rossa per eccellenza, l’Emilia-Romagna, creare disordini con scontri violenti possa essere un modo per raggiungere l’elettorato che quei disordini non gradisce è da mettere in conto. Ricordare che coloro che sono stati processati e condannati per la strage alla stazione di Bologna appartenevano tutti a organizzazioni fasciste è sempre opportuno.
La sfilata di CasaPound conteneva certamente, deliberatamente, consapevolmente, anche l’elemento della provocazione. Che i centri sociali abbiano al loro interno non pochi elementi regolarmente propensi a ricorrere alla violenza, più o meno antifascista, è noto. Che cadessero così stupidamente nella provocazione fascista è almeno in parte abbastanza sorprendente.
Ma che la reazione ci sarebbe sicuramente stata non poteva essere una sorpresa per chi, a livello nazionale e sul piano locale, ha la responsabilità di evitare incidenti, scontri, violenze dei più vari tipi. Poi, naturalmente, bisognerebbe evitare di soffiare sul fuoco a meno che qualcuno, non solo in questo caso, ritenga che aizzare, insultare, usare le parole come clave gli sia di un qualche giovamento politico.
Prevenire e reprimere
Il ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, il cui ex-capo di gabinetto e ex-prefetto di Bologna, dunque, persona informata, Matteo Piantedosi, è attualmente ministro degli Interni, in mancanza di argomenti migliori, fa frequente ricorso ai suoi polmoni.
Talvolta, le parole sono pietre e delle parole violente chi le pronuncia deve assumersi la responsabilità, ieri, oggi e domani. Però, no, la vittoria di Donald Trump, che quanto a parole turpi è un appropriato interlocutore, non giustifica l’estendersi né altrove né in Italia (abbiamo una nostra lunga ingloriosa tradizione nazionale) della violenza verbale e fisica.
Certamente, le due guerre in corso, pur così diversamente violente, non possono assolvere chi, da Amsterdam a Bologna, e in qualsiasi banlieue decida di impartire in proprio lezioni con la forza e con le armi. Al contrario, proprio perché lo spirito del tempo sembra suscitare, diffondere, accogliere, persino incoraggiare comportamenti violenti, le autorità hanno il dovere politico e morale di operare a parole e nei fatti per prevenire, scoraggiare, reprimere.
Soprattutto, poiché l’ordine pubblico è un bene comune, le autorità preposte debbono assolutamente evitare di farne un uso di parte. A buoni intenditori poche parole. Non c’è nessuno bisogno di richiamare gli anni di piombo, ma se lo si fa, meglio evitare ricostruzioni partigiane che vanno contro le verità giudiziarie. Non intendo fare nessun appello alle buone intenzioni. Le lascio a chi lastrica la strada per l’inferno.
Un sano realismo suggerisce che, a cominciare dai vertici, il governo in carica, proprio per la sua composizione, non deve farsi sfiorare da nessun sospetto, meno che mai quello di fare un uso selettivo delle risposte alla violenza e delle valutazioni delle responsabilità.
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