Alla fine Giorgia Meloni si è videocollegata con l’elegante hotel del centro di Bologna, dove da giorni era annunciato il comizio dei quattro leader nazionali della maggioranza – la premier, i suoi due vice Antonio Tajani e Matteo Salvini, e Maurizio Lupi.

Una foto di gruppo annunciata, utile a smentire la versione che gira da tempo, nella campagna elettorale per l’Emilia-Romagna che si concluderà con il voto domenica 17 e lunedì 18 novembre: sostiene che la destra “di Roma” dà per persa questa regione, tanto che la premier non aveva una gran voglia di «mettere la faccia» sul palco della soccombente candidata presidente Elena Ugolini.

È successo, alla fine la premier non è andata. Ma la ragione ufficiale dell’assenza è a prova di bomba: Meloni e il ministro degli Esteri erano impegnati a palazzo Chigi con i sindacati sulla manovra. Una riunione fiume («è durata sei ore», ha detto la premier, come fosse una cosa straordinaria), si è conclusa alle 16 con Cgil e Uil che confermano lo sciopero generale del 29 novembre.

Però Tajani ha preso il treno delle 14 e 50, lei invece è rimasta al tavolo. E non si è azzardata a prenderne uno successivo: fosse arrivata in ritardo, non sarebbe stata una gran figura per il ministro dei Trasporti Salvini.

Insulti al sindaco

Ma non ha fatto rimpiangere la sua presenza, sparando alzo zero contro tutti (sindaco, sindacati, sinistra) in videocollegamento. «Non stupisce come il clima si sia surriscaldato in queste settimane, lo fanno sempre quando hanno paura di perdere il loro potere». Il riferimento è agli ultimi giorni, il finale della campagna elettorale regionale: le polemiche provocate dalla manifestazione di CasaPound del fine settimana, gli scontri fra polizia e antagonisti, le accuse incrociate contro le «zecche» da parte di Matteo Salvini e contro le «300 camicie nere» da parte del sindaco Matteo Lepore, e infine gli inguardabili manifesti dei volti della stessa Meloni e della ministra Bernini imbrattati con una mano color rosso-sangue.

A Lepore la premier riserva i passaggi più velenosi: parlare di camicie nere «è la carta della disperazione della sinistra. Non so a quali camicie nere si riferisse, le uniche che ho visto sono quelle blu dei poliziotti aggredite dai centri sociali». Ma soprattutto l’accusa di avere una «faccia doppia»: «Il sindaco di Bologna in privato mi chiede cortesemente collaborazione, in pubblico mi dà della picchiatrice fascista. Se davvero crede che io sia una picchiatrice fascista, non dovrebbe chiedermi collaborazione».

Poco prima, dal palco, Tajani aveva rispolverato un grande classico della sinistra, Pier Paolo Pasolini, «che durante gli scontri all'università di Valle Giulia fra studenti e poliziotti fece una scelta, la stessa che facciamo noi: fra i figli del popolo che guadagnano 1.200 euro al mese e i figli di papà, studenti mantenuti che bivaccano nei centri sociali, noi scegliamo i figli del popolo che difendono diritto, legalità e Stato». Lupi ha provato ad andare oltre, evocando la stagione dei «cattivi maestri» e degli anni di piombo. Ma è difficile, nonostante tutto questo sforzo di buttarla in rissa, che le vicende del week end spostino voti a favore della destra.

Che del resto dal voto regionale qui non si aspetta un gran risultato: solo Fdi punta a fare un salto di qualità. È la ragione dell’iperattivismo del viceministro ai trasporti Galeazzo Bignami, “fratello” più alto in grado, nonché mancato candidato presidente (che si è protetto dalla figuraccia di un flop).

La destra spera nell’Umbria

Dall’altra parte, la chiusura unitaria della coalizione ci sarà: ma il candidato Michele de Pascale, dato in vantaggio avrà accanto a sé sul palco a Bologna gli esponenti della coalizione regionale. Scelta concordata saggiamente fra la via Emilia e Roma.

Una scelta che farà anche l’altra candidata presidente del centrosinistra, quella dell’Umbria Stefania Proietti, che venerdì 15 alla Città della Domenica (alle porte di Perugia) per il gran finale chiamerà al suo fianco le beneauguranti colleghe sindache di Firenze Sara Funaro e del capoluogo della regione Vittoria Ferdinandi.

Qui invece Meloni farà di tutto per esserci. Perché in questa regione la destra punta a restare, nonostante i malumori di Fdi sulla presidente Donatella Tesei. I sondaggi danno le due a un’incollatura, con la prima cittadina di Assisi avanti.

La differenza potrebbe farla il sindaco di Terni, l’ineffabile Stefano Bandecchi, pronto a far pesare il suo contributo a un’eventuale vittoria, dopo aver lamentato di non aver ricevuto «neanche un colpo di telefono» per il successo ligure, a cui ha contribuito candidandosi in prima persona (e portando a casa in realtà meno di duemila voti). La destra qui spara il massimo delle sue cartucce: l’appuntamento per i leader nazionali è per giovedì 14 all’Auditorium di San Francesco al Prato a Perugia.

La scommessa di Schlein

Anche Elly Schlein qui ha fatto il massimo che poteva. È lei, e tutta la coalizione, a rischiare di più in Umbria. Una sconfitta finirebbe fatalmente per accelerare i tempi di un chiarimento sulla coalizione. In Liguria Giuseppe Conte non ha accettato la presenza di candidati di Iv nella coalizione; in Umbria e Emilia-Romagna li ha accettati purché senza liste di partito. Alla fine della tornata regionale, arriverà un bilancio di queste e di altre scelte.

Per la seconda volta è arrivata in regione con il presidente del partito Stefano Bonaccini. Domani arriverà Giuseppe Conte, un po’ latitante in questa campagna umbra: sarà a Terni, a casa di Bandecchi, a protestare contro «l’atto folle» di un terzo inceneritore a Terni, un atto semplicemente folle. Per fortuna in questa regione anche il resto del centrosinistra è contrario.

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