«Qualcuno alle tre di notte ha piantato male un chiodo, generando questo disastro», è la spiegazione che infine il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini abbozza, al termine di una giornata da dimenticare per tutti i pendolari.

I disagi sono cominciati alle 6.30 di mercoledì mattina, quando quella che Rfi ha definito una «disconnessione degli impianti» alla stazione di Roma Termini ha tagliato l’Italia in due. Il risultato sono stati più di cento treni cancellati, Eurostar e Intercity compresi, gli schermi della stazione della capitale spenti e senza indicazioni per turisti e viaggiatori sui binari. Ritardi di ore su tutta la rete ferroviaria italiana. Questo il bilancio pesante di un mercoledì nero per i pendolari e di grande imbarazzo per Salvini.

Il leader della Lega è intervenuto per la prima volta con un laconico «siamo al lavoro per risolvere il prima possibile il guasto» solo alle 11 del mattino, quando ormai la notizia del tilt dell’infrastruttura su rotaia era impossibile da ignorare e anche in parlamento le opposizioni, sia al Senato sia alla Camera, gli avevano già chiesto di riferire in aula. «Si assuma le sue responsabilità o si dimetta», è stata la richiesta di Pd, Avs e Italia viva.

Nel frattempo Salvini, sempre attivissimo sulle sue pagine social sin dalle prime ore del mattino, aveva condiviso una sua foto da piccolo per celebrare la festa dei nonni, ma aveva accuratamente evitato di parlare del caos ferroviario. Il post, però, era immediatamente finito subissato di commenti negativi proprio a causa dei ritardi dei treni. In mattinata, inoltre, il ministro aveva disertato la conferenza stampa di presentazione dei nuovi convogli regionali.

Mentre l’amministratore delegato di Rfi, Gianpiero Strisciuglio, si scusava «per i disagi importanti della giornata», Salvini è intervenuto solo nel tardo pomeriggio, quando la circolazione è progressivamente tornata regolare. Ha liquidato le opposizioni («chiedono le mie dimissioni da due anni perché respiro») e ha scaricato le responsabilità su non meglio precisati responsabili di cui «ho chiesto nomi, cognomi, indirizzi e codici fiscali» perché «questa notte un’impresa privata ha piantato un chiodo su un cavo e il tempo di reazione di fronte a questo errore non è stato all’altezza». Infine ha rivendicato i 9 miliardi investiti e i 1.100 cantieri per ammodernare la linea e la Lega è andata in scia, chiedendo «che i vertici di Rfi e Trenitalia vengano a riferire» sugli errori dei privati «che nulla hanno a che vedere con l’impegno enorme profuso dal ministro Salvini». In serata, Rfi ha fatto sapere di voler «prendere provvedimenti, anche di tipo contrattuale, nei confronti di chi ha commesso errori».

La cessione di Fs

Insomma, è colpa di tutti tranne che del ministro preposto alla gestione dell’infrastruttura su rotaia, che tuttavia, da quando è alla guida del dicastero, ha privilegiato altre competenze. Dopo il no al ministero su cui puntava – quello dell’Interno – Salvini ha infatti ottenuto da Meloni la guida delle Infrastrutture e dei trasporti, ben sapendo di poter così contare su un ricco portafoglio. Dal momento in cui ha preso possesso del palazzo di piazzale di Porta Pia ha puntato soprattutto sulla gomma, viaggiando in lungo e in largo per l’Italia per inaugurare nuove corsie autostradali e poi puntando tutto sulla realizzazione (non ancora cominciata) dell’ormai famigerato ponte sullo Stretto di Messina. Con i mesi, tuttavia, si è reso conto di come la poltrona su cui siede sia più che scottante e comporti una sorta di responsabilità oggettiva almeno sul piano politico di fatti come questi.

Anche per questo, forse, la comunicazione di Salvini è tornata ai temi a lui più congeniali: vittima della persecuzione dei magistrati nel processo di Palermo per sequestro di persona nei confronti dei migranti sulla Open Arms e volto del conservatorismo sovranista insieme a Viktor Orbán, entrambi temi che verranno enfatizzati sul palco di Pontida nel weekend.

Del resto, la gestione della rete ferroviaria sta diventando sempre più un problema per il ministero: Rfi ha davanti la sfida del Pnrr, con un piano di investimenti da 25 miliardi entro agosto 2026, di cui ne sono stati spesi appena 10. E, per consentire l’avvio dei cantieri, il servizio di trasporti dovrà necessariamente essere bloccato sempre più spesso. Il nodo è poi anche un altro. Come ha messo in evidenza la segretaria del Pd, Elly Schlein, «il ministro Salvini si occupa di tutto tranne che dell’emergenza trasporti» e «non si occupa di fare funzionare le ferrovie, pensa solo a come venderle».

Salvini ha assicurato che il controllo di Ferrovie dello stato rimarrà pubblico, ma il ministero del Tesoro non ha mai smentito le indiscrezioni secondo cui starebbe mettendo a punto un piano di cessione del 40 per cento di Fs, con l’obiettivo di fare cassa per un valore stimato tra i cinque e i sei miliardi di euro. Una boccata d’ossigeno per il piano di privatizzazioni pubbliche da 20 miliardi in tre anni, promesso da Giancarlo Giorgetti nella Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza.

Così Salvini, che pure prova ad allontanare le sue responsabilità, si trova accerchiato: con il Tesoro pronto a liquidare almeno in parte il gioiello del suo ministero e attacchi che arrivano anche dalla sua maggioranza nella componente centrista, e non da un pulpito inesperto. Il suo predecessore di centrodestra, Maurizio Lupi, non ha usato il suo canonico passo felpato: i guasti «sono troppo frequenti per essere fisiologici o casuali», quindi «è necessaria una riflessione del ministro Salvini: serve un piano straordinario per la manutenzione». FdI non ha affondato il colpo sull’alleato, ma una riflessione appare ineludibile.

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