È stato pubblicato oggi il rapporto Censis sulla situazione sociale del paese. Saltano all’occhio le situazioni critiche fotografate dal report in ambiti come la sanità e il lavoro
Il 56° rapporto Censis mostra tutto quello che non va nel paese, soprattutto a livello di disuguaglianze. Le situazioni più gravi si registrano nell’ambito della sanità, dove mancano sempre più medici e infermieri, e per quanto riguarda il lavoro. Continua a pesare anche il divario tra nord e sud, dove si accentuano tutte le situazioni problematiche.
La sanità
Mentre nel decennio 2010-2019 il Fondo sanitario nazionale ha registrato un incremento medio annuo dello 0,8 per cento, passando da 105,6 a 113,8 miliardi di euro, nel 2020 è aumentato a 120,6 miliardi, con un incremento medio annuo dell'1,6 per cento nel periodo 2020-2022 dovuto alle misure per fronteggiare l'emergenza Covid.
Ma l'incidenza del finanziamento del Servizio sanitario nazionale scenderà al 6,2 per cento del Pil nel 2024 (era il 7,3 per cento nel 2020). Dal 2008 al 2020 il rapporto medici/abitanti in Italia è diminuito da 19,1 a 17,3 ogni 10.000 residenti, e quello relativo agli infermieri da 46,9 a 44,4 ogni 10.000 residenti.
Il lavoro
Il 51 per cento dei lavoratori dipendenti in Italia è attualmente in attesa del rinnovo contrattuale. Nel settore privato la quota scende al 36,5 per cento, mentre nella pubblica amministrazione il mancato rinnovo riguarda la totalità dei dipendenti (100 per cento).
I mesi di vacanza contrattuale vanno dai 35 del settore pubblico ai 31 del settore privato. In ogni caso l'attesa di vedere rinnovato il contratto collettivo nazionale sfiora i 3 anni.
Sono 6,3 milioni i dipendenti con contratto scaduto e non ancora rinnovato, di cui 3,5 milioni nel settore privato e 2,8 nel settore pubblico.
Oggi in Italia nel settore privato si contano oltre 4 milioni di lavoratori che non raggiungono una retribuzione annua di 12.000 euro.
Di questi, 412.000 hanno un contratto a tempo indeterminato e un orario di lavoro a tempo pieno. Il lavoro dipendente non è più al riparo del pericolo della povertà. Nel 2021, sul totale degli occupati, il 9,7 per cento si trovava in condizioni di povertà relativa.
Ad aggravare una situazione già critica è l’inflazione, che non solo colpisce i redditi fissi o comunque tendenzialmente stabili nel medio periodo, aumenta anche la forbice della disuguaglianza tra le diverse componenti sociali: le famiglie meno abbienti si confrontano con un incremento medio dei prezzi pari al 9,8 per cento, mentre per le famiglie più agiate l'aumento è del 6,1 per cento, quasi 4 punti percentuali in meno.
La distanza tra nord e sud
Il Censis certifica anche l’ampliamento del divario tra nord e sud.
Le famiglie che vivono in condizione di povertà assoluta sono più di 1,9 milioni (7,5 per cento del totale), 5,6 milioni di persone (9,4 per cento della popolazione: 1 milione di persone in più rispetto al 2019).
Di queste, il 44,1 per cento risiede nel Mezzogiorno.
La situazione è più grave anche dal punto di vista dell’istruzione. I giovani 18-24enni usciti precocemente dal sistema di istruzione e formazione sono il 12,7 per cento a livello nazionale e il 16,6 per cento nelle regioni del Sud, contro una media europea di dispersione scolastica del 9,7 per cento.
Mediamente nei paesi dell’Ue la quota di 25-34enni con il diploma è dell’85,2 per cento, in Italia al 76,8 per cento e scende al 71,2 per cento al Sud; inferiore alla media europea anche la percentuale di 30-34enni laureati o in possesso di un titolo di studio terziario: il 26,8 per cento in Italia e il 20,7 per cento al Sud, contro una media Ue del 41,6 per cento.
L’Italia detiene anche il primato europeo per il numero di Neet, giovani che non studiano e non lavorano: il 23,1 per cento dei 15-29enni a fronte di una media Ue del 13,1 per cento. Ma nelle regioni del Mezzogiorno l’incidenza sale al 32,2 per cento.
© Riproduzione riservata