Passa la proposta dem, la segretaria del Pd chiama due volte la premier. La maggioranza alla fine non può opporsi, ma non ha la forza di votare sì
La prima telefonata parte dal cellulare di Elly Schlein ed è verso palazzo Chigi. Sono passate da poco le 13. La Camera si sta per riunire per votare le mozioni sul medio oriente, e il momento è delicato. L’iniziativa è partita dal Pd a fine gennaio ed è stata fortissimamente voluta da Peppe Provenzano, ex ministro e responsabile Esteri.
Il testo dem ha, fra le richieste “forti” al governo, il cessate il fuoco umanitario a Gaza e il riconoscimento dello stato di Palestina da parte dell’Unione europea. Non è stato facile mettere d’accordo tutte le anime del Pd, c’è stato un lavoro accurato sul testo da parte di Provenzano con Enzo Amendola e Alessandro Alfieri. Lorenzo Guerini, presidente del Copasir, viene consultato passo dopo passo.
Quando la mozione è stata presentato in aula per la prima volta, due settimane fa, il rappresentante di Fratelli d’Italia ha fatto capire con baldanza che non c’era speranza di convergenze bipartisan. E invece è andata diversamente. Martedì in aula l’esame dei testi è iniziato poco dopo le 14. È a questo punto che è arrivata la seconda chiamata a Giorgia Meloni.
C’è di nuovo la segretaria del Pd dall’altra parte: la informa, forse la avverte, che in aula si appellerà alla maggioranza e chiederà direttamente al suo indirizzo come sia possibile oggi, per loro, dire no a un cessate il fuoco umanitario a Gaza. Meloni capisce, chiede tempo per parlare con i suoi, ma sa che non ha scelta. In aula viene chiesta una sospensione dei lavori, i deputati del Pd si riuniscono.
Debbono decidere l’atteggiamento sulle altre mozioni (quelle di M5s e dei rossoverdi contengono passaggi poco palatabili). Alla fine passa il “lodo Orfini”: astensione sul testo della maggioranza, per il resto si vota tutto il possibile, per dare un segnale di unità nella minoranza. E per i punti indigeribili non si partecipa al voto.
Le parole della Farnesina
A palazzo Chigi la decisione è presa: da Rafah arrivano notizie feroci. Del resto in mattinata il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha usato, per la prima volta, una formula mai pronunciata: «A questo punto la reazione di Israele è sproporzionata, ci sono troppe vittime che non hanno nulla a che fare con Hamas».
L’aula riprende i lavori. E la storia finisce diversamente da come era iniziata. E clamorosamente. Il governo, per bocca del viceministro degli esteri, Edmondo Cirielli, chiede la riformulazione del testo del Pd sul cessate il fuoco a Gaza. In sostanza chiede di anteporre la richiesta di «rilascio incondizionato degli ostaggi da parte di Hamas». Ma nel testo c’è comunque. Fatto questo, si rimette all’aula: in sostanza concede il via libera per il sì. La maggioranza si asterrà.
E cosi l’aula vota e impegna il governo Meloni ad adoperarsi per «sostenere ogni iniziativa volta a chiedere un immediato cessate il fuoco umanitario». È un cambio di passo per il paese, e anche per la destra. Meloni non ha voluto, soprattutto non ha potuto opporsi. Dal no di fine gennaio all’astensione di martedì, la situazione in medio oriente è persino peggiorata, se possibile: il governo Netanyahu ha dato inizio alla feroce operazione su Rafah; e il presidente Usa Joe Biden ha lanciato un segnale chiaro al governo di Tel Aviv: ha fatto sapere che anche da parte americana è allo studio il riconoscimento dello stato di Palestina e che il governo israeliano deve «garantire la sicurezza dei civili di Rafah». Palazzo Chigi non può non allinearsi all’amico americano.
Solo che la destra, fin qui troppo amica di Benjamin Netanyahu, non ha la forza di rimangiarsi la sua linea, e deve affidare il passaggio all’opposizione. E così succede un mezzo paradosso: la destra si approva la sua mozione infarcita di solidarietà nei confronti di Tel Aviv (con l’astensione del Pd e il no di Cinque e rossoverdi), ma anche il dispositivo della mozione del Pd che chiede il cessate il fuoco umanitario.
Che viene votato da tutte le opposizioni. I testi si esaminano per parti separate, le operazioni sono un groviglio intricatissimo.
Alla fine il Pd non partecipa al voto solo su due punti della mozione rossoverde: quello in cui si chiede di «supportare le richieste del Sudafrica alla Corte internazionale di giustizia per lo svolgimento di indagini sulle violazioni e sui crimini di guerra in corso» (non è nominata la parola genocidio, ma a questo si riferisce), e quello che chiede di «interrompere qualsiasi fornitura di armamenti» a Israele, «e tecnologia utilizzabile a fini bellici, anche in riferimento ai contratti in corso e richiamare al rispetto dell’articolo 2 dell’accordo di associazione tra l’Ue e Israele, prefigurandone la sospensione in caso di ulteriore mancato rispetto». Eppure vota sì a una richiesta non troppo dissimile da parte di M5s.
Alla fine la maggioranza fa approvare il consueto «diritto a difendersi di Israele», ma la linea dell’Italia diventa quella del «cessate il fuoco umanitario» a Gaza: insomma cambia, per iniziativa delle opposizioni.
Le tre carte dei M5s
Fuori dall’aula ll Pd esulta, ed Elly Schlein si concede ai cronisti, senza però rivelare dettagli della sua conversazione con la premier. «È un momento molto importante», dice, «siamo molto felici». Certo, la mozione Pd chiedeva anche altro: non è stata approvata la richiesta del riconoscimento da parte della Ue dello stato di Palestina, che pure il parlamento italiano ha già votato nel 2015: «Continueremo a insistere».
Ma il fatto nuovo lo spiega Provenzano: «Oggi il Pd ha fatto la sua parte. E ha riportato l’Italia dalla parte giusta, quella della pace in medio oriente, dove deve stare». Per Nicola Fratoianni è «un passo in più, ma siamo lontanissimi da quello che servirebbe per fermare la carneficina a Gaza».
I Cinque stelle invece masticano amaro per l’evidente fatto che Schlein ha guidato l’opposizione alla meta: Giuseppe Conte in aula c’è, ma poi si tiene alla larga dai giornalisti. Ma il deputato Riccardo Ricciardi parla di «tatticismi» della destra, di «gioco delle tre carte»: «Mi chiedo come può il governo portare avanti, in sede internazionale, un impegno su cui solo l’opposizione ha espresso parere favorevole». Domanda giusta, la risposta dovrà darla la premier.
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