Sul grande schermo di Cinecittà va in onda un kolossal dal plot prevedibile: una maggioranza dedita alla spartizione delle poltrone della società al 100 per cento del ministero dell’Economia ma di fatto braccio operativo del ministero della Cultura di Gennaro Sangiuliano.

La trama della società pubblica è anche fatta da una serie di intrecci di dinastie politiche avellinesi, come i De Mita e i Maccanico, e allo stesso tempo rispecchia le tensioni interne che attraversano i partiti di centrodestra.

In particolare Forza Italia, che sta litigando sul nome, in quota azzurra, da inserire nel prossimo consiglio di amministrazione. Un clima che non ha favorito un accordo definitivo.

Cinecittà leghista

Le nomine ufficiali, da Cdp a Ferrovie, sono slittate a dopo i ballottaggi, come per tutte le altre partecipate statali. I vertici sono, comunque, definiti: la vera vincitrice è Chiara Sbarigia, presidente uscente e ormai certa della riconferma, grazie alla sponsorizzazione della sottosegretaria Lucia Borgonzoni. Un rapporto che ha di fatto cancellato l’antica estrazione di dirigente vicina alla sinistra, direzione Goffredo Bettini. Acqua passata, ormai.

Borgonzoni e Sbarigia hanno un rapporto osmotico, partecipano insieme agli eventi, promuovono mostre, tanto che l’esponente leghista ha spinto per farla diventare amministratrice delegata. Un’operazione fallita, ma con un piccolo passo in avanti. La presidente di Cinecittà gestirà totalmente le deleghe ai rapporti internazionali e alla comunicazione. Così da poter forgiare al meglio la propria immagine a cui – come raccontano fonti interne alla società – tiene in maniera particolare.

Dal Mic al Mef non sono state considerate attendibili le ombre di un possibile conflitto di interessi sollevate nei mesi scorsi: Sbarigia è ancora presidente dell’Apa, l’associazione dei produttori dell’audiovisivo. Peraltro, si racconta che a Cinecittà non sarebbe molto amata. Addirittura un gruppo di dipendenti aveva fatto trapelare l’intenzione di voler scrivere una lettera di lamentele al ministro della Cultura Sangiuliano, che a sua volta non è proprio felice di trovarsi un’emanazione di Borgonzoni alla presidenza. Ma la blindatura leghista è stata a prova di malumori.

La Lega brinda poi a un’altra conferma nel cda: Isabella Ciolfi, già braccio destro del sottosegretario Claudio Durigon ed ex collaboratrice al Mef di Federico Freni, resterà al proprio posto dopo la nomina fatta nei mesi scorsi.

E, per due volti che restano nelle stesse caselle, c’è un altro profilo che scala i gradini della società: l’amministratore delegato di Cinecittà Giuseppe De Mita, figlio di Ciriaco, storico leader della Dc negli anni Ottanta. Dopo l’ingresso nel cda oltre un anno fa, ecco la promozione ampiamente prevista, grazie alla benedizione diretta di Arianna Meloni, sorella della presidente del Consiglio. Sarà lui a guidare la macchina della società di via Tuscolana.

La filiera della famiglia Meloni non ha trovato l’opposizione del sottosegretario Giovanbattista Fazzolari. C’è stato qualche tentativo di inserimento per cambiare le carte in tavola da parte delle altre forze politiche. Fratelli d’Italia ha stroncato sul nascere qualsiasi operazione.

Nodo Maccanico

Fin dalla vittoria della destra alle politiche del 2022, l’ad uscente, Nicola Maccanico (dimessosi il 25 giugno 2024), ha cercato di accreditarsi a palazzo Chigi come un interlocutore del governo, bypassando il ministro Sangiuliano. Un errore esiziale. Maccanico ha pure cercato il mediatore sbagliato: l’amico Giuseppe De Mita, che però era già il prescelto alla guida della società. Si dice che i rapporti tra De Mita e Maccanico siano in fase calante.

Entrambi hanno radici irpine e si conoscono da tempo, grazie ai genitori provenienti dalla prima Repubblica (non dalla Dc come erroneamente riportato nella prima versione dell’articolo) Nicola Maccanico è infatti figlio di Antonio Maccanico, ex ministro e sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Fatto sta che l’attuale amministratore delegato, ormai agli sgoccioli, non ha fatto breccia a palazzo Chigi né tantomeno al Mic di Sangiuliano. Potrebbe resistere nel ruolo di direttore generale, che attualmente si somma a quello di amministratore delegato. Sarebbe però accerchiato da un management ostile. Nei corridoi della società c’è chi prevede una exit strategy, probabilmente con una buonuscita.

Duello azzurro

Nel frattempo Cinecittà è diventata il luogo di un duello, non western, ma politico, che si consuma all’interno di Forza Italia. Nei giorni scorsi il capogruppo al Senato, Maurizio Gasparri, ha incontrato il ministro Sangiuliano per spingere la candidatura nel cda di Enrico Cavallari, ex consigliere regionale del Lazio non rieletto alla Pisana nelle elezioni del 2023.

L’incontro è stato però interlocutorio, nonostante il rapporto personale tra Gasparri e l’ex direttore del Tg2. Il profilo di Cavallari è ritenuto ambiguo visti i vari cambi di casacca. Prima la Lega, poi Italia viva e infine FI.

Il presidente dei senatori azzurri tiene a piazzarlo nella società pubblica, cercando il placet del partito.

Un’operazione che contrasta però con l’indicazione ufficiale dei vertici. L’inner circle del segretario Antonio Tajani vorrebbe in quella casella Annamaria Vecchione, già candidata non eletta al consiglio regionale della Campania e di recente dimissionaria dal ruolo di coordinatrice ad Avellino, involontaria sede prediletta del kolossal di governo a Cinecittà.

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