Da alleato a problema. Il passo per Giuseppe Conte è stato brevissimo. Il suo strappo sulla Rai rispetto alla strategia che avevano (o credevano di aver) concordato le opposizioni è stata la prima tessera del domino che ha fatto implodere il campo largo. Ora potrebbe venir giù tutto il resto.

All’indomani dell’Aventino solitario del Pd sul rinnovo del cda di viale Mazzini, dalle parti del Nazareno si teme per le regionali in Liguria. La partita sembrava essere tutta in discesa viste le dimissioni del presidente uscente Giovanni Toti e i guai giudiziari che hanno travolto il centrodestra. Ma col passare dei giorni si sta trasformando in una palude in cui il centrosinistra rischia di affogare.

Dopo un travaglio complicatissimo, le opposizioni erano riuscite a trovare un compromesso che portasse a sostenere la candidatura di Andrea Orlando. Tutte unite dal Movimento 5 stelle a Italia viva che, dopo le rimostranze dei Cinque stelle, doveva partecipare senza il proprio simbolo. Dopotutto l’idea che «con Matteo Renzi in coalizione si perde» è un grande classico del repertorio di Conte. Ma nelle ultime ore Iv gli ha sottratto anche quest’alibi, ritirandosi dalla corsa in Liguria e lasciando ai suoi elettori libertà di voto. Oppure, a seconda delle letture, «si è arreso» all’ex premier.

«Non è da escludere che l’elettorato renziano tenda verso Bucci, che comunque ha sostenuto già alle comunali», dice chi conosce bene il centrosinistra a Genova. Uno sviluppo che può creare nuove grane al candidato giallorosso, insidiato ormai anche da sinistra, dove è sceso in campo Nicola Morra. L’ex grillino raccoglie sicuramente l’elettorato grillino della prima ora, ma può rappresentare una soluzione anche per i tanti Cinque stelle a cui non è piaciuta la scelta, calata dall’alto, di convergere sull’ex ministro del Lavoro e, ancora meno, quella di riempire le liste pentastellate di dirigenti locali “riciclati”.

La mossa di Iv ha di colpo trasformato la sfida ligure in un nuovo duello interno alla coalizione, l’ennesimo, tra Elly Schlein e Conte, in cui l’ex premier deve dimostrare che il Movimento ha ancora la forza per essere rilevante all’interno dell’alleanza. E la Liguria rischia di essere solo l’inizio.

Un ex parlamentare ci vede uno schema ricorrente: «Come in ogni elezione, Conte si deve smarcare dal Pd per dimostrare di essere un po’ più intransigente, un po’ più indipendente, un po’ meno piddino di Schlein. Lo stesso è accaduto alle europee».

Così l’ex premier può tornare ad alzare la voce, riscoprendosi scorpione, perché quella, come recita la celebre favola «è la sua natura». Ora è la Rai, domani chissà. E ogni volta i salti mortali, politici e retorici, diventano sempre più azzardati. Basta ricordare quando ha chiesto al Pd di lasciare viale Mazzini e, nella stessa frase, ha motivato la partecipazione del Movimento al voto con la necessità di sorvegliare l’operato della maggioranza. «Ormai è un politicante, assomiglia sempre di più alla sua nemesi Renzi», dice una fonte dem.

Rischio assemblea

Effettivamente, la personalizzazione del partito procede a passo spedito e dovrebbe trovare il suo coronamento nell’assemblea convocata per i primi di novembre. In quell’occasione Conte spera di riuscire a eliminare definitivamente dalla scena Beppe Grillo, anche se la sua strategia procede a rilento: agli iscritti non è piaciuta troppo la proposta di mettere mano allo statuto e ai ruoli dei vertici. Tra le priorità che hanno indicato nella selezione dei temi da discutere, è arrivata soltanto settima su venti. Insomma, nonostante il suo controllo sui parlamentari sia sempre maggiore, l’assemblea (e la strategia di Grillo su quel palco) per Conte resta un’incognita che lo preoccupa molto. «E, proprio in questo momento così difficile per me, il Pd apre a Renzi», si sarebbe sfogato l’ex inquilino di palazzo Chigi con i suoi.

A metà tra lo spin comunicativo e la convinzione personale, il presidente del Movimento continua a considerare il leader di Italia viva kryptonite. La decisione di Schlein di non decidere ha fatto il resto. Dopo la lunga pausa agostana, la segretaria per un periodo ha mostrato buon viso a cattivo gioco senza prendere mai posizione contro il ritorno di Renzi nel centrosinistra. Un tiro mancino, dal punto di vista di Conte, che a quel punto avrebbe maturato la decisione di non seguire la linea dell’Aventino sulla Rai, scegliendo la via dell’accordo con Avs per eleggere insieme i consiglieri Alessandro di Majo e Roberto Natale.

«Tutte scuse», commentano a mezza bocca quelli che vedono nella strategia di Conte solo il tentativo di strappare alla destra qualche poltrona in Rai, possibilmente a spese del Pd. Qualunque sia l’origine della linea – ripicca verso Renzi, ansia per gli appuntamenti elettorali o voglia di conquistare più spazio a viale Mazzini – il risultato è che il Movimento offre una sponda alla destra.

L’atteggiamento in Rai rischia di essere soltanto l’antipasto di quel che succederà nei prossimi mesi, complici i cambiamenti geopolitici all’orizzonte. Primo fra tutti, le elezioni americane: un sondaggio Piepoli per Rai News rivela che tra gli elettori del Movimento 5 stelle soltanto il 24 per cento sceglierebbe Kamala Harris, mentre il 54 per cento scriverebbe sulla scheda il nome di Donald Trump. Insieme a certe posizioni sulla Russia di Vladimir Putin, forse, l’indagine dice molto più sul Movimento di quanto non sia emerso finora. E avvalora la scelta di Conte di rivolgersi a destra.

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