La premier ribadisce che i centri per migranti sono «innovativi». In assenza di decisioni dei giudici, a gennaio riprendono i trasferimenti
Il governo italiano ci riprova, e fa l’ennesimo tentativo per salvare i centri in Albania, presentati come «soluzione innovativa» per la gestione dei flussi migratori. Forte dell’assoluzione in primo grado di Matteo Salvini nel caso Open Arms e in vista del passaggio di competenza sui trattenimenti dalle sezioni specializzate dei tribunali alle Corti d’appello, la maggioranza ripete a gran voce che il protocollo Italia-Albania funzionerà, che è un modello ed è guardato con interesse da molti stati dell’Unione, e che l’ultima decisione della Cassazione ha dato ragione all’esecutivo.
Nei fatti è cambiato poco e il governo cerca di riscattare la propria immagine dopo quasi dieci mesi di lavori di realizzazione del valore di decine milioni di euro, eseguiti in deroga, per una non meglio specificata urgenza, circa un mese di operatività e nemmeno venti migranti ospitati.
L’unico messaggio fuoriuscito dal vertice convocato a palazzo Chigi è il solito mantra: andiamo avanti, ribadendo «la ferma intenzione di continuare a lavorare sulle cosiddette “soluzioni innovative” al fenomeno migratorio». Presieduto dalla premier Meloni, alla riunione hanno partecipato il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, degli Esteri Antonio Tajani, della Difesa Guido Crosetto, il ministro per gli Affari europei, il Pnrr e le Politiche di coesione Tommaso Foti e il sottosegretario Alfredo Mantovano.
I paesi sicuri
Tutto ciò, scrive palazzo Chigi, «anche alla luce della recente sentenza della Cassazione che ha indicato le competenze relative all’individuazione dei paesi di origine sicura a livello nazionale». Essere originario di un paese considerato sicuro non significa non poter richiedere asilo, ma avere tempi ristretti e meno garanzie.
L’esecutivo si ostina a interpretare la sentenza della Corte suprema sui paesi sicuri dello scorso 4 dicembre, pubblicata il 19, a suo favore perché i giudici hanno sì ribadito che la designazione di un paese “sicuro” spetta al governo, ma non si tratta di un atto politico e, quindi, non è «un atto fuori dal diritto e dalla giurisdizione». Al contrario di quanto detto per mesi da diversi ministri e dalla stessa premier, mettendo in dubbio in continuazione la discrezionalità dei magistrati, la Cassazione nella pronuncia ha ricordato che il giudice ha un potere-dovere di valutare la legittimità della scelta di inserire un paese nella lista di quelli considerati sicuri ed eventualmente disapplicare il decreto in via incidentale.
Questo, com’è risaputo, è il compito dei giudici, che da parte loro non hanno mai avocato a sé il potere di redigere l’elenco dei paesi sicuri né di annullare il decreto legge. Un gioco delle tre carte, secondo il segretario di +Europa, Riccardo Magi, con cui «l’esecutivo ha scelto di travisare volontariamente la pronuncia della Corte di Cassazione».
Non è però questa la sentenza della Cassazione che interessa direttamente il trattenimento in Albania. Il governo ha deciso di riprendere i trasferimenti con la nave Libra, già allertata, senza attendere che la Corte suprema si esprima sulle decisioni di non convalida del primo gruppo di migranti trattenuti a ottobre a Gjader. È possibile che decida di sospendere il giudizio in attesa della pronuncia della Corte di giustizia dell’Ue, attesa in aprile. Quest’ultima è la seconda sentenza che può influenzare il futuro dei centri costruiti oltre Adriatico.
Giudici europei che la premier, in vista del Consiglio europeo, ha avvertito, invitandoli a prendere le distanze dai colleghi italiani, firmatari di provvedimenti giudiziari, «dal sapore ideologico, che se fossero sposati nella loro filosofia di fondo dalla Corte di Giustizia Ue rischierebbero di compromettere le politiche di rimpatrio di tutti gli stati membri». I giudici e gli avvocati della Corte Ue, pur offrendo tutte le garanzie di indipendenza, sono nominati di comune accordo dai governi degli stati membri.
Le corti d’appello
Mentre l’Albania di Edi Rama è stata scelta per la partenza del giro d’Italia 2025 (il 9 maggio con la tappa Durazzo-Tiana), il governo ha individuato l’11 gennaio come data per riprendere i trasferimenti. Coincide infatti con l’entrata in vigore della modifica di competenza dalle sezioni specializzate alle Corti d’appello, stabilita dall’esecutivo nella speranza che il carico di lavoro e la mancanza di specializzazione non ostacolino i piani politici. Tribunali di secondo grado, non specializzati e non organizzati per gestire i turni per le convalide dei trattenimenti entro i tempi necessari per decidere sulla privazione della libertà. «Un disastro annunciato», avevano avvertito 26 presidenti di corte d’appello in una lettera, perché, già in affanno, rischiano di raggiungere gli obiettivi del Pnrr.
Alla Corte d’appello di Roma, da quanto si apprende, entro quella data dovrebbero essere integrati nell’organico i sei giudici con cui era stata ampliata la sezione specializzata. Per le opposizioni questo nuovo impulso non è altro che propaganda. «Meloni taglia la sanità pubblica e nega il salario minimo, ma continua a insistere col fallimentare piano dei centri in Albania», ha detto la segretaria del Pd, Elly Schlein. Mentre il leader di Iv, Matteo Renzi, ha ironizzato: «È più facile credere a Babbo Natale che all’utilità dei centri albanesi».
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