La sentenza del 4 ottobre della Corte di giustizia Ue, vincolante sia per il giudice del rinvio sia per tutti i giudici degli stati membri (quindi anche per quelli italiani), potrebbe incidere sull’attuazione del Protocollo insieme ad altre pronunce attese nei prossimi mesi. Mettendo a rischio il trattenimento di migranti nel paese
In questi giorni si sente spesso richiamare una sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (CgUe) che potrebbe vanificare l’attuazione del protocollo con l’Albania.
Occorre spiegare gli impatti concreti di questa sentenza, unitamente ad altre, attese nei prossimi mesi. Sui medesimi temi sono pendenti due rinvii pregiudiziali alla CgUe da parte del tribunale di Firenze, nonché una questione pregiudiziale sottoposta dal tribunale di Roma alla corte di Cassazione. Le relative pronunce non potranno che confermare la linea tracciata da quella in esame.
La procedura di frontiera
Possono essere portati in Albania soltanto i richiedenti asilo provenienti da «paesi di origine sicuri», ai quali si applica la cosiddetta procedura accelerata di frontiera. Con un decreto del maggio scorso, il ministero degli Affari esteri ha rivisto la lista di tali paesi, ampliandone il numero a solo un anno dal precedente aggiornamento e includendovi stati nei quali, leggendo le relative schede fornite dalla Farnesina, avvengono gravi violazioni dei diritti umani.
Il fine è evidentemente quello di fare in modo che sempre più richiedenti protezione internazionale siano sottoposti alla procedura di frontiera, con conseguenti maggiori probabilità di rigetto della loro domanda.
Infatti, tale procedura, essendo “accelerata”, presenta per i migranti minori garanzie rispetto a quella ordinaria. Innanzitutto, l’esame delle istanze di protezione deve avvenire in soli sette giorni. Inoltre, l’onere di provare che il paese non sia sicuro grava sul migrante, e per negargli la protezione basta affermare che tale prova non sia stata fornita.
Ancora, il termine del ricorso contro il diniego è parti a 7 giorni e la sua proposizione non sospende automaticamente il rimpatrio. La procedura di frontiera dovrebbe durare in totale al massimo 28 giorni.
La sentenza della Corte Ue
La sentenza della CgUe del 4 ottobre 2024, emessa su rinvio pregiudiziale di un giudice del tribunale regionale di Brno (Repubblica Ceca) riguardo al caso di un richiedente asilo moldavo, è vincolante sia per il giudice del rinvio sia per tutti i giudici degli stati membri, quindi anche per quelli italiani.
La Corte afferma che, ai sensi della direttiva Procedure (2013/32), un paese può essere qualificato come «sicuro» a condizione che, «in modo generale e uniforme», non si ricorra mai a «persecuzione (…), tortura o pene o trattamenti inumani o degradanti e che non vi sia alcuna minaccia dovuta alla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato internazionale o interno». Dunque, un paese non è sicuro se «talune parti del suo territorio» non lo sono o se i diritti di alcune categorie di persone rischiano di essere violati.
Il giudice – afferma la CgUe – ha il dovere di sindacare l’inserimento di un paese nella lista di quelli sicuri, verificando se siano stati rispettati i criteri di “sicurezza” previsti dalla direttiva. Ciò richiede la valutazione in concreto delle condizioni del paese stesso, oltre che della situazione personale del migrante.
Il protocollo con l’Albania
La decisione della Corte avrà impatti rilevanti sull’attuazione del protocollo con l’Albania, dove sarà seguita la procedura di frontiera. Infatti, quasi tutti i paesi che l’Italia ha qualificato come sicuri prevedono eccezioni alla “sicurezza”. Ciò dovrebbe escludere tale qualificazione e, con essa, l’applicabilità della procedura di frontiera per chi proviene da quei paesi, ove i diritti non sono garantiti per tutti e in tutto il territorio.
I giudici chiamati a convalidare entro 48 ore i provvedimenti di fermo dei migranti portati in Albania sono tenuti a rispettare la pronuncia della CgUe, e pertanto non dovrebbero procedere alla convalida del trattenimento. Di conseguenza, bisognerà trasferire in Italia coloro ai quali il fermo non sia stato confermato, visto che il protocollo prevede espressamente che nessun migrante potrà rimanere libero sul territorio albanese.
Se il fermo fosse comunque convalidato e l’istanza di protezione respinta, ci si aspetta che i richiedenti asilo presentino una mole rilevante di ricorsi che – sempre in forza della vincolatività della sentenza della Corte per i giudici che dovranno esaminarli – hanno elevate probabilità di essere accolti. Ursula von der Leyen ha detto che «con l’avvio delle operazioni previste dal protocollo Italia-Albania» si potranno trarre «lezioni pratiche».
Potremmo sin d’ora anticipare alla presidente della Commissione Ue che la “lezione” dell’operazione albanese rischia di essere, economicamente e giuridicamente, quella di un flop colossale.
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