Il nuovo asse è immunitas-communitas. Da un lato chi vuole immunizzarsi, dall’altro chi agogna una società aperta. Secondo una ricerca, il 24 per cento degli italiani si colloca tra i conservatori-primatisti, il 33 tra i demo-egualitari. Gli apoliteici sono composti dagli apolidi della politica (11 per cento) e dai neo-civici antisistema (10 per cento)
Le identità politiche nel nostro paese sono in lenta evoluzione, collocate in un processo trasformativo del non più e non ancora. Una dimensione di passaggio in cui le visioni passate convivono con quelle per il futuro. Sotto la spinta delle contraddizioni economiche, dell’aumento delle disuguaglianze sociali, dei cambi climatici, delle tensioni sociali e della guerra, si alimentano le spinte trasformative, ma anche le retromarce identitarie.
L'identità politica è una costruzione complessa in cui si intrecciano biografia individuale, collocazione sociale, valori e visioni del mondo. Le identità politiche contemporanee, come sottolinea Donatella della Porta «non sono fisse, ma vengono costantemente negoziate e rinegoziate» e la definizione politica di sé è diventata più scivolosa, mentre «le appartenenze diventano fluide, revocabili, oggetto di scelte individuali più che di destini ascritti» (Bauman).
L’identità politica non è più ancorata a comunità stabili di destino ma, come sottolinea l’antropologo Arjun Appadurai, su di essa agiscono sia le forze dello sradicamento culturale, della de-ideologizzazione, dell’ingolfamento informativo, del neo-individualismo, della feticizzazione delle merci e del consumo; sia le scorie della sfiducia, del distacco, della delusione, della vischiosità valoriale.
L’identità politica è sempre meno un fattore unitario, omogeneo e assume sempre di più, come asserisce Fredric Jameson, i contorni di un bricolage di elementi eterogenei. Il processo di ridefinizione delle identità politiche è all’opera nel nostro paese. Per scandagliarlo è stata realizzata una ricerca su un campione di 1.000 maggiorenni, analizzando l’autodefinizione politico-identitaria delle persone attraverso un ampio spettro di etichette (più o meno tutte quelle che si sono sviluppate dal secondo dopoguerra a oggi).
Sulla base di queste autodefinizioni si è proceduto alla ricostruzione dei principali agglomerati identitari, le community politiche. Si tratta di comunità di sentire, sciami di pulsioni che determinano il posizionarsi identitario (non la loro espressione di voto) delle persone (in ragione della fluidità contemporanea alcune persone si collocano in più di una community, senza che questo determini in loro contraddizioni). Le varie community, nel loro posizionarsi nel quadro politico nostrano, delineano successivamente i diversi campi politici che strutturano la mappa dell’arena politico-identitaria italiana.
Oltre il centrodestra: il campo del conservatorismo primatista
Una delle trasformazioni in atto riguarda la tradizionale polarizzazione destra-sinistra. Lo storico asse non sparisce ma è sussunto in una entità più marcata ideologicamente: l’asse immunitas-communitas. Lo scorrere delle posizioni tra quanti vogliono immunizzarsi (aspirano a una società escludente e arroccata, che privilegia i nativi ed è basata su ordine, sicurezza e istinti tradizionalisti) e quanti agognano una società aperta, comunitaria, tollerante, più egualitaria e cosmopolita.
Sull’asse dell’immunitas si collocano tre community che vanno a comporre quello che possiamo definire il campo del conservatorismo-primatista (24 per cento del complessivo corpo elettorale), ovvero l’evoluzione del centrodestra. Si tratta delle community degli under-siege-i sotto assedio (14 per cento); degli autarchico-suprematisti (3 per cento) e, più staccati, dei liberal-tradizionalisti (13 per cento).
Gli under-siege hanno una visione del mondo che mescola orgoglio patriottico, nostalgia per un passato idealizzato e preoccupazione per il futuro. Si definiscono di destra, anticomunisti, conservatori, anti-immigrati; una quota si sente leghista, altri nazionalisti. Si riconoscono come populisti e sono sensibili al richiamo «prima gli italiani!» e al grido «basta con questa Europa che ci soffoca!». Si sentono sotto assedio e difensori dei valori dell’italianità, puntano il dito contro le élite di sinistra che hanno tradito il popolo.
La seconda community degli autarchico-suprematisti rappresenta una frangia estrema caratterizzata da un mix di richiami all'eredità del Movimento sociale italiano, all’anti-europeismo intransigente e ai No-vax. In essa confluiscono le spinte neo-fasciste, i nostalgici monarchici, gli ostili al multiculturalismo e a qualsiasi integrazionismo.
Terza anima del campo conservatore, quella più staccata e centrista per posizionamento, sono i liberal-tradizionalisti. Sono un mix di berlusconiani doc, di cristiano liberali, di richiami alla vecchia Dc e ai valori cattolici in politica. Sono un raggruppamento politico orientato alle élite, in cui si mescolano pragmatismo economico e valori tradizionali. Provano un certo fastidio per le posizioni estreme delle altre due community e sono attratti dalle voci del neo-centrismo estremista.
Il fu centro-sinistra: tra demo-egualitari e bricolage dei neo-post
Se la spinta all’immunitas la incarnano le community che si ritrovano nel campo del conservatorismo primatista, la tensione alla communitas la ritroviamo nel campo dei demo-egualitari (33 per cento del corpo elettorale), composto dalle community eco-democratici (29 per cento) ed egualitaristi-green (12 per cento).
Gli eco-democratici hanno abbandonato i lidi progressisti tradizionali. Nel loro cuore batte la passione per i principi democratici, nelle loro vene scorre la sensibilità ecologista e nei loro polmoni si respira il vento europeista. Per loro la sostenibilità ambientale è intrinsecamente legata alla sostenibilità democratica e vedono nella crisi climatica un potenziale catalizzatore di tensioni sociali e politiche. L'europeismo è radicato e propositivo: l'Unione europea è vista come un baluardo di valori e un laboratorio per affrontare le sfide transnazionali.
Gli egualitaristi-green, invece, sono un mix di anime in cui confluiscono lo spirito ulivista, le sensibilità progressiste, un forte senso antifascista. Sono comunitari e femministi, si sentono di sinistra ed ecologisti, con rimasugli di cattocomunismo e di fede comunista. L'antifascismo rimane un pilastro identitario (un impegno contro ogni forma di autoritarismo e discriminazione); la dimensione ambientalista è strettamente collegata a un progetto di giustizia sociale; il femminismo è vissuto come parte della strategia di emancipazione sociale; il comunitarismo è un antidoto all'individualismo esasperato e fa perno sulla centralità di valori come solidarietà e cooperazione.
Le nuove anime del centro
Confinanti con i demo-egualitari, di cui contendono lo spazio che un tempo era del centrosinistra, troviamo una delle evoluzioni del vecchio centro. Un coacervo di pulsioni che, in modo plurale e con anime differenti, mostrano il prendere corpo di un neo-centrismo estremistico che si sviluppa lungo l’asse verticale che va da posizioni élitario-meritocratiche liberiste, a pulsioni neo repubblicane, passando per le pulsioni neo-partecipative e le simpatie per la democrazia dal basso.
Il campo che scorre lungo questo asse è quello dei bricolage dei neo-post (16 per cento del corpo elettorale). Uno spazio politico composto dalle community dei neo-liberali meritocratici (7 per cento), dei post-ideologici neo-libertari (9 per cento) e dei neo-repubblicani cosmopoliti (4 per cento).
I neo-liberali meritocratici si richiamano ai valori cristiano sociali, si sentono di centro e si definiscono centristi e moderati, con una quota che strizza l’occhio al renzismo. La loro visione coniuga innovazione economica e meritocrazia. Essi rappresentano le spinte dell’élite del “popolo del merito”, alimentato dalla borghesia urbana, dalle fasce professionali e dalle nuove professioni emergenti.
Seconda community politica di questo campo è quella dei post-ideologici neo-libertari. Sono un bricolage composito. In essi troviamo pacifisti e anarchici, meridionalisti e antimafiosi, libertari e animalisti, partecipativi con simpatie per i pentastellati nella versione di Giuseppe Conte. Rifiuto delle ideologie del passato, pacifismo e non violenza per le relazioni internazionali, vena anarchica che s’incarna nell’aspirazione alla democrazia diretta, sono alcune delle caratteristiche di questa community.
A queste si devono aggiungere l’anima meridionalista (che riflette parte della base sociale) e lo spirito antimafia, quali strumenti per la rinascita del Sud. In questo agglomerato ritroviamo anche un’anima libertaria a difesa delle libertà individuali che si estende fino all'ambito dei diritti degli animali.
Infine, la terza community: i neo-repubblicani cosmopoliti. Si configura come un ponte tra il passato e il presente del riformismo democratico. In essa confluiscono parte delle anime socialdemocratiche, socialiste e repubblicane, che si intrecciano con le spinte internazionaliste e anticapitaliste o con le simpatie verso Azione di Carlo Calenda. Nel cuore di questo agglomerato c'è il richiamo alla tradizione repubblicana italiana, l’attaccamento ai valori democratici, alla laicità dello Stato e alla cittadinanza attiva. I neo-repubblicani mostrano una tensione orientata a un “capitalismo regolato” e a un’economia sociale di mercato.
Il centro è popolato anche da un’altra anima, un centrismo rancoroso e astensionista, che va a strutturare il quarto campo dell’arena politica: i rabbiosi disullusi (6 per cento del corpo elettorale). Questo spazio politico è costituito da due community: i nichilisti politici (5 per cento) e gli anti-statalisti decostruttori (3 per cento).
I nichilisti politici sono uno sciame ondivago e fluttuante, in cui convergono diverse tipologie di delusi e gli antipolitici. In primo luogo troviamo gli amareggiati dall’anima popolare e liberista, con la loro combinazione retorica sugli interessi del “popolo” e sulla centralità del “cittadino comune”; con la loro enfasi sul libero mercato e il loro fastidio verso lo stato.
In questo rassemblement confluiscono anche i delusi dalla passione federalista, separatista e indipendentista. Il tutto si mixa con un’anima prettamente antipolitica e apolitica, con il loro disgusto per i partiti tradizionali, con lo scetticismo verso le istituzioni e i processi democratici esistenti.
La seconda community di questo campo, gli anti-statalisti decostruttori, sono l’anima più rancorosa. Marcati da un profondo scetticismo verso lo stato e da un'enfasi marcata sull'autonomia individuale, vivono l'apparato statale come un'entità oppressiva, una sanguisuga che assorbe “le sane energie delle persone”. L'elemento anti-tasse è centrale nella loro identità, insieme al fastidio per i compromessi (vissuti come inciuci) e il politichese (vissuto come una presa in giro i cittadini).
Le aree del distacco e della contestazione
L’arena politica nazionale presenta altri due campi, posizionati obliquamente lungo un asse che va dalle dimensioni nullifiers (senza alcuna identità politica) a quelle anti-establishment. Da un lato c’è il campo degli apoliteici (16 per cento del corpo elettorale) e dall’altro lato quello dei protestatari (5 per cento del corpo elettorale).
L’area degli apoliteici è composta da due community: gli apolidi della politica (11 per cento) e i neo-civici antisistema (10 per cento). Gli apolidi della politica rifiutano qualsiasi etichetta politica. Sono disconnessi dall'attuale sistema di rappresentanza politica, ma non si definiscono né “antipolitici”, né “apolitici”. Sono soggetti privi di una “casa politica”, insoddisfatti dell'offerta attuale, alienati dal linguaggio e dalle pratiche della politica tradizionale, sospinti dalla voglia di formarsi opinioni in modo indipendente. Questo agglomerato, zeppo di giovani della generazione Z, è uno sciame fluttuante, formato da soggetti eterogenei per background e esperienze.
L’altra community del campo degli apoliteici sono i neo-civici antisistema. Radicato nelle tradizioni locali, diffidente verso la politica nazionale, questo gruppo incarna una sintesi tra il civismo storico e le spinte antisistema. Per i neo civici la politica è quella di prossimità, della partecipazione dal basso. Sono attivisti che mescolano istanze di libertà individuale con l’enfasi sulla partecipazione comunitaria. Guardano con sospetto le grandi corporazioni, preferiscono modelli di sviluppo basati sull'economia locale e in parte simpatizzano per il grillismo della prima era.
Infine, il campo dei protestatari, in cui per ora troviamo una sola community: gli apofatici politici (6 per cento). Sono un agglomerato disarticolato di no-global, anticasta e soggetti che si definiscono rivoluzionari. Nel cuore di questo raggruppamento c'è un sentimento di alienazione dal sistema politico ed economico dominante. La loro opposizione non si limita solo agli aspetti economici, ma mettono sotto accusa anche l'omogeneizzazione culturale imposta dalla globalizzazione. Gli apofatici puntano il dito sia contro la classe politica tradizionale (una casta privilegiata e corrotta), sia contro tutto l’establishment economico, culturale e mediatico del paese. La quota di questo sciame che si definisce “rivoluzionaria”, non porta con sé un progetto alternativo alla società attuale, ma solo una spinta a destrutturare il vecchio status quo.
Un remix identitario con rischi annessi
Il quadro identitario è in costante evoluzione e come diceva il filosofo francese Jacques Rancière, «la politica oggi deve affrontare il paradosso di identità che si definiscono attraverso la loro stessa mancanza di definizione».
Le forme di auto-collocazione politica si stanno remixando, stanno ridefinendo forme e confini, in un processo di passaggi e contaminazioni. Per ora l’unico risultato tangibile di questo corso è la crescita dell’astensionismo. Una dinamica che aumenta le distanze di parte della società dalla democrazia e agevola il ricorso a scorciatoie autarchiche.
Se, come sottolinea Martha Nussbaum, «il vuoto nelle identità politiche contemporanee riflette una crisi più profonda nella nostra capacità di immaginare e perseguire il bene comune», questo processo di transizione e rivisitazione del senso politico individuale, per ora non offre un’immagine di rivitalizzazione politica e sociale del tessuto italico, ma porta con sé le forme di infragilimento del tessuto democratico, il virus di disimpegno, nonché i germi di chiusure, regressioni e backlash culturale. Come tuonava Tocqueville: «quando il cittadino è passivo è la democrazia che s’ammala».
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