A ogni elezione si levano lamenti sul declino della partecipazione elettorale. Eppure nessuno si sofferma su una delle cause più dirette di tale fenomeno: la difficoltà dei partiti a condurre campagne elettorali a largo spettro. Fare politica costa e necessita disponibilità finanziarie adeguate.

Per garantire un minimo di equità nelle condizioni di partenza tutte le democrazie avanzate – a eccezione di un paese ormai borderline rispetto ai canoni delle liberaldemocrazie moderne come gli Stati Uniti – si sono dotate di normative che consentano ai partiti di agire nello spazio pubblico con sufficienti dotazioni finanziarie per veicolare le loro proposte; e allo stesso tempo di regole per l’acquisizione, e l’uso, di tali risorse.

Ad esempio, in tanti paesi non è consentito ricevere donazioni da enti pubblici o parapubblici, e l’ammontare dei versamenti è limitato a soglie ben precise sia per i singoli individui sia per le società. Infine i controlli, che sono quasi ovunque eseguiti da enti indipendenti (non dal parlamento come accadeva in Italia fino agli anni 2010), e che prevedono sanzioni severe in caso di inadempimenti. A questo proposito merita ricordare la multa milionaria inflitta al partito gollista per le violazioni commesse durante la campagna elettorale per la rielezione del presidente Nicolas Sarkozy nel 2012.

Eccezione italiana

L’Italia dal 2014 è diventata, una volta di più, una eccezione in questo panorama. In precedenza si caratterizzava come il paese più generoso di tutti nell’elargire contributi pubblici ai partiti, e il più distratto nell’eseguire verifiche sulle spese. L’ondata antipartitica di cui profittò il grillismo della prima ora partì anche da quel contesto. E dopo il successo del M5s il governo di grande coalizione guidato da Enrico Letta varò l’attuale normativa che elimina ogni forma di finanziamento statale diretto consentendo soltanto la donazione attraverso il 2 per mille sull’ Irpef, con un tetto di 25 milioni complessivi.

In sostanza siamo diventati, insieme alla Svizzera, l’unica nazione europea che non prevede aiuti pubblici ai partiti. Una anomalia che è tempo di superare. Il tentativo, forse un po’ goffo, di raddoppiare il limite del 2 mille non avrebbe comunque risolto il problema.

Va superata l’impostazione antipolitica e anti-partitica succube dell’ondata grillina, e reintrodotto il finanziamento pubblico, con limiti nei versamenti, e indipendenza e rigore nella verifica dei rendiconti. I partiti devono tornare a essere protagonisti delle campagne elettorali, degenerate a gigantesche, e grottesche, fiere delle vanità individuali veicolate da social network di ogni tipo.

Intendiamoci: non ha senso opporsi alle innovazioni tecnologiche ma se non le si governano e, non si ragiona su quanto e come l’Intelligenza artificiale potrà intervenire nella sfera politica, si lascia a chi possiede questi mezzi la capacità di influenzare gli orientamenti dell’opinione pubblica. Una barriera al debordare di tali strumenti consiste nel riportare al centro della scena i partiti.

I partiti al centro

È una impresa difficile perché hanno fatto molto per meritarsi la scarsa stima di cui godono un po’ ovunque. Ma sono stati anche oggetto di una ossessiva campagna mediatica indirizzata a denunciare ogni loro minima défaillance.

Ci vuole molto coraggio, oggi, a impegnarsi direttamente in un partito sfidando compatimenti e sospetti. Eppure, senza partiti forti e autorevoli, e con personale politico all’altezza, i cittadini non recuperano fiducia né in loro né nel sistema democratico e continuano ad astenersi.

L’ondata populista che sta attraversando tutto l’Occidente ha travolto per primi i soggetti più deboli ed esposti, i partiti, e poi, di conseguenza ha iniziato a erodere le basi stesse dei sistemi democratici. Perché questi sistemi sono incardinati sui partiti. E non esiste alternativa. Se si vuole porre un argine alla degenerazione della democrazia verso forme oligarchiche o autoritarie va garantito il pluralismo delle idee e la capacità di rappresentarle nello spazio pubblico e nelle istituzioni.

Lo stato deve fornire le risorse affinché le formazioni politiche siano poste nelle condizioni migliori per esercitare la loro funzione di rappresentanza. È una questione di equità – ridurre lo scarto nella capacità di attrarre ricchi donatori privati – e di democrazia – limitare il deficit di rappresentanza. Per questo bisogna andare ben oltre il raddoppio del 2 per mille e ridefinire tutto il regime di finanziamento alla politica.

© Riproduzione riservata