Landini prende la prima iniziativa. La raccolta delle firme inizierà da metà luglio. In parallelo si muovono le regioni di centrosinistra, anche l’Emilia-Romagna. E Musumeci attacca Zaia
Il tempo è poco, si parte subito. Venerdì 5 luglio, alle 10 di mattina, il comitato dei primi firmatari del referendum contro il ddl Calderoli si dà appuntamento alla Cassazione, a Roma, per depositare il quesito. A mettere insieme tutti è stato Maurizio Landini, segretario Cgil: in questo primo passo ci saranno costituzionalisti come Massimo Villone e Gaetano Azzariti, i rappresentanti della “Via maestra”, la rete in difesa della Costituzione, e quelli dei partiti che aderiscono alla campagna referendaria.
Ai massimi livelli: probabilmente Elly Schlein e Giuseppe Conte, e Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli (Avs), Riccardo Magi (+Europa), Maurizio Acerbo (Prc). Al momento Italia viva e Azione non hanno indicato nomi. Ma si potranno aggiungere in corsa perché presto nascerà un comitato nazionale largo, che farà da riferimento di tutti i comitati che stanno nascendo in giro per l’Italia. Tanti, come funghi. Il sindacato sta promuovendo assemblee in tutta Italia. E le adesioni fioccano: lunedì a Potenza, in un dibattito convocato dallo Spi sono arrivati in 400.
La Cgil si muove per prima anche perché ha già accesa la macchina per le firme sui quattro quesiti sul lavoro. Ne servono 500mila, da raccogliere entro metà settembre (il termine di consegna è il 30 di quel mese). Sarà una faticaccia – mai come quella di raggiungere il quorum – ma ci si aiuterà con una piattaforma digitale certificata. Dovrebbe esserci quella promessa dal Viminale (che ieri ha fatto sapere che i test al sistema informatico finiranno fra due settimane). Ma si capisce che il governo non ha fretta. Magi chiede «che indichi la data certa entro cui la piattaforma sarà operativa». Di sicuro c’è che gli artigianali banchetti partiranno dopo il 10 luglio, appena stampati e distribuiti i moduli. Il Pd ha messo a disposizione la rete delle Feste dell’Unità, quest’anno particolarmente capillare.
Raggiunte le firme, la Cassazione vaglierà la loro validità, poi la Consulta quella del quesito. Che sarà semplice e diretto: «Volete voi che sia abrogata la legge 26 giugno 2024, n. 86, “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione?». Poi toccherà ai creativi sbizzarrirsi: perché per dire No al ddl Calderoli, bisognerà barrare il Sì.
La via parallela delle regioni
Per la richiesta di referendum corre in parallelo l’altra strada, quella dei cinque consigli regionali. «Ma noi ci stiamo rivolgendo a tutte le regioni», spiega Christian Ferrari, della segreteria Cgil. Il presidente della Calabria Roberto Occhiuto, forzista, è contrario alla legge. Ieri i sindaci di Catanzaro e di tutti i capoluoghi di provincia gli hanno chiesto di attivarsi. La campagna non è iniziata ma già apre crepe nella maggioranza, soprattutto al sud. La Lega ha trascinato tutta la destra in una trappola: le opposizioni proveranno a toglierle i consensi del Mezzogiorno. Non a caso ieri il ministro della Protezione civile, Nello Musumeci, ha definito «assolutamente precoce» la richiesta del veneto Luca Zaia di autonomia su nove materie “non Lep” (cioè che non necessitano della definizione dei Livelli essenziali di prestazione): «C’è un problema di opportunità. In questo momento permangono delle perplessità anche all’interno della maggioranza di governo che ha votato quella riforma». Quanto a lui, è «per l’autonomia differenziata, a patto che si mettano le regioni svantaggiate nelle condizioni di partire tutte dalla stessa linea».
Intanto il centrosinistra conta sulle cinque regioni che governa: Toscana, Sardegna, Puglia, Campania e Emilia-Romagna. Tutti i presidenti si sono dichiarati disponibili. Stefano Bonaccini ha affidato agli uffici legislativi un dubbio procedurale. Dopo l’elezione a eurodeputato, presto dovrà dimettersi. Succederà fra l’11 luglio, dopo la chiusura del G7 della Scienza e tecnologia a Bologna e Forlì, e il 16, giorno della sua proclamazione a Bruxelles. Ieri Schlein ha tagliato corto: «Stiamo lavorando con le altre forze politiche e sociali per prepararci a raccogliere le firme per il referendum abrogativo. E intanto posso già annunciare che porteremo la richiesta di referendum nei Consigli delle regioni in cui governiamo».
Il Consiglio campano si prepara a votare la richiesta lunedì 8 luglio. Altrettanto accadrà in Toscana, Puglia e Sardegna. E in Emilia-Romagna, dove la maggioranza ha sottoscritto un documento in cui si spiega bene che la richiesta di deleghe attivata nel 2016 dalla regione (insieme a Veneto e Lombardia) era tutt’altra cosa: era condizionata alla «intangibilità dei principi fondativi della Costituzione, quali la promozione delle autonomie, l’unità e l’indivisibilità della Repubblica di cui all’art. 5 della Costituzione».
Ma «i successivi sviluppi del disegno di legge», ovvero il ddl Calderoli, «si sono posti in contraddizione con l’affermazione di questi principi, tanto che, in sede di espressione del parere delle regioni nella Conferenza unificata del 2 marzo 2023 la regione Emilia-Romagna, unitamente a Campania, Puglia e Toscana, ha espresso voto contrario». Da qui la richiesta di referendum. E quella indirizzata al presidente dell’assemblea «di comunicare la deliberazione ai Consigli di tutte le altre regioni, con invito all’adozione di un uguale atto affinché si possa dare seguito all’iniziativa referendaria». Il consiglio dovrebbe riunirsi il 9 luglio.
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