- Nel 1948, alle prime elezioni per la Camera dei deputati, gli astenuti erano appena il 7,8 per cento. Nel 1953, spinti dallo scontro sulla “legge truffa”, gli italiani si recano in massa alle urne e il non voto scende al 6,2 per cento
- Nel 1983 gli astenuti arrivano al 12 per cento. Dopo una piccola discesa del 1987 (11,1), il numero degli astenuti inizia a salire: dal 12,7 nel 1992 al 13,7 per cento nel 1994. Due anni dopo, nell’anno della vittoria dell’Ulivo, i non votanti salgono al 17,1 per cento.
- Nel 2008 è al 19,5 per cento. Cinque anni dopo, nel 2013, sale al 24,8 per cento, per arrivare nel 2018 al 27,1 per cento.
L’astensione ha una storia lunga e complessa nel nostro paese. Per trent’anni è stato un fattore meramente fisiologico, mentre oggi ha assunto i contorni di un processo dilagante di delusione, disaffezione, distanziamento e protesta iraconda verso la politica.
Nel 1948, alle prime elezioni per la Camera dei deputati, gli astenuti erano appena il 7,8 per cento. Nel 1953, sospinti dallo scontro sulla “legge truffa”, gli italiani si recano in massa alle urne e il non voto scende al 6,2 per cento.
Il numero dei votanti è rimasto stabilmente oltre il 90 per cento fino alle elezioni del 1979. Nel 1958 gli astenuti sono sempre intorno al 6,2, mentre salgono oltre il sette per cento sia nel 1963 (7,1), sia nel 1968 (7,2). La soglia dei votanti torna sopra il 93 per cento nelle competizioni del 1972 (6,8 per cento di astenuti) e del 1976. Siamo nell’anno in cui a sinistra c’era la speranza della spallata alla Dc e sul fronte avverso c’era lo spauracchio del sorpasso comunista. Il numero dei non partecipanti al voto si assesta al 6,6 per cento. Sarà col 1979 che l’astensione inizia a sfiorare il dieci per cento (9,4).
Scheda bianca
In questo trentennio è presente un altro interessante fenomeno di sospensione del voto e protesta politica: la scheda bianca. Le persone si recavano alle urne, ma non votavano alcun partito. Tra il 1948 e il 1979 il numero delle schede bianche è passato da 164 mila 836mila. Anche in questo caso l’evoluzione è stata progressiva. Il primo grande salto avviene tra il 1948 e il 1953: da 164 mila a 430mila. Nel 1963 arrivano a 571mila, mentre cinque anni dopo, nel ’68, le schede bianche sfondano quota seicentomila, fino al balzo finale del 1979 che le porta oltre le 800mila.
Salita inesorabile
Tornando alla percentuale dei votanti, il dato scende sotto il 90 per cento a partire dal 1983 e rimane intorno all’80 per cento per tutto il periodo che arriva fino al 2008. Nel 1983 gli astenuti arrivano al 12 per cento.
Dopo una piccola discesa del 1987 (11,1), il numero degli astenuti inizia inesorabilmente a salire: dal 12,7 nel 1992 al 13,7 per cento nel 1994 (anno della prima prova elettorale di Berlusconi). Due anni dopo, nell’anno della vittoria dell’Ulivo, i non votanti salgono al 17,1 per cento. Con il valicare del millennio il processo di disaffezione aumenta il passo.
Nel 2001 gli astenuti si portano al 18,6 per cento e, solo lo scontro frontale tra le due coalizioni del 2006, riaccende gli animi politici e riesce a mobilitare vaste fasce dell’elettorato con il non voto che regredisce al 16,4 per cento. Da allora in poi l’astensione ha iniziato a correre. Nel 2008 è al 19,5 per cento. Cinque anni dopo, nel 2013, sale al 24,8 per cento, per arrivare nel 2018 al 27,1 per cento. La dinamica di crescita delle schede bianche è esponenziale e dalle 942mila del 1983 si arriva a 1 milione e 688mila nel 2001. Nelle competizioni del 1987 e del 1992 lasciano intonse le schede elettorali rispettivamente 773mila e 872mila elettori.
Nel 1994 si arriva a 1 milione e 421mila, per saltare a 1 milione e 688mila nel 2001. Da quel momento, però, la pratica della scheda bianca inizia a scemare. Le persone decidono che è inutile recarsi alle urne per lasciare la propria scheda intonsa e preferiscono restare direttamente a casa. Nel 2006 le schede bianche sono 439 mila, per arrivane alle 389mila del 2018.
Ferita e patologia
L’andamento dell’astensione ci racconta un fenomeno che ha cambiato pelle più volte. Iniziato come espressione fisiologica, è divenuto, in un primo tempo, espressione dell’indebolimento della capacità di presa politica dei grandi partiti di massa, per poi passare, con la nascita della seconda repubblica, a essere l’espressione della ferita tra politica e cittadini.
Il processo astensionista dal 2013 è entrato in una ulteriore fase e ha assunto i contorni, per una parte dell’elettorato, della smobilitazione politica. Esso è diventato una patologica disaffezione civica, alimentata dal clima generale di disimpegno e dall’avanzare dei fenomeni di delusione e d’insoddisfazione per lo spettacolo offerto dai partiti.
Una patologia che si è arricchita di due tratti: l’iraconda volontà punitiva verso i partiti che hanno deluso e la disillusione verso l’intera classe dirigente per la sua incapacità di pensare al futuro per il paese.
L’astensione, oggi, è un magma articolato composto da settori sociali delusi, da soggetti in difficoltà economica, da arrabbiati con i partiti e le aree di appartenenza, da persone che puntano il dito contro i poteri forti, da quanti criticano i partiti per la loro inerzia di fronte ai problemi reali della gente. Al fondo la sfida all’astensione, per tutti i partiti, si gioca su un solo grande fronte: ridare senso all’idea stessa di politica come impegno per tutti e per il futuro dell’Italia.
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