- Il “caso Cospito” come da qualche giorno viene raccontato sui media è un prisma di tragedie diverse.
- La prima tragedia è quella che riguarda le condizioni di salute del militante anarchico in sciopero della fame da 103 giorni.
- A questa si aggiunge la tragedia inutile di un racconto spesso inventato e allarmistico delle proteste a sostegno della battaglia contro il 41 bis e l’ergastolo ostativo.
Il “caso Cospito” come da qualche giorno viene raccontato sui media è un prisma di tragedie diverse. La prima è quella che riguarda il suo stato di salute, di cui sappiamo quello che ha riferito la dottoressa Angelica Melia, l’unica che lo può visitare, giovedì scorso: le condizioni sono sempre più critiche, non riesce più a termoregolare il suo corpo, per riscaldarsi ha provato a fare una doccia ma è scivolato e si rotto il naso perdendo sangue. Ci sarà una nuova visita. Il carcere di Bancali non ha un centro medico, e dovrebbe quantomeno essere trasferito.
La seconda tragedia riguarda la reazione della politica: le due battaglie radicali che Alfredo Cospito sta portando avanti contro il regime del 41 bis e l’ergastolo ostativo ricevono nel migliore dei casi parole di solidarietà per le implicazioni umane.
Il largo mondo dei liberali e garantisti, tra i quali sembrava essere assoldato anche il ministro della Giustizia Carlo Nordio, si è incaponito in uno scontro sulla diffusione delle intercettazioni dopo aver discusso confusamente per settimane di antimafia a partire dall’arresto di Matteo Messina Denaro.
La reazione della politica
La terza tragedia riguarda la reazione della politica alle mobilitazioni non solo degli anarchici a sostegno di Cospito: una repressione preventiva che sabato è culminata con l’intervento durissimo da parte della polizia – centinaia di agenti – contro un innocuo gruppetto di manifestanti disarmati che ha finito per rifugiarsi in un garage per aver testimoni, e con una nota di palazzo Chigi che sembra uscita da un’altra epoca: «Gli attentati compiuti contro la nostra diplomazia ad Atene, Barcellona e Berlino, come pure quello di Torino, le violenze di piazza a Roma e Trento, i proiettili indirizzati al direttore del Tirreno e al procuratore generale Francesco Saluzzo, la molotov contro un commissariato di polizia: azioni del genere non intimidiranno le istituzioni.
Tanto meno se l’obiettivo è quello di far allentare il regime detentivo più duro per i responsabili di atti terroristici. Lo stato non scende a patti con chi minaccia».
Quelli che vengono definiti attentati sono atti che si possono considerare deplorevoli, ma che si fatica davvero a definire attentati: contro le cose, hanno prodotto danni lievi. La polvere pirica per fare questi “attentati” è quella usata nei raudi che si lanciano a Capodanno.
Come dimostrato in un’infinità di recenti processi finiti, per gli anarchici gli “attentati” decadono in sede giudiziaria o vengono derubricati a “danneggiamenti”; il reato di devastazione e saccheggio e strage è stato attribuito solo a Cospito (e tra l’altro rimodulato dalla Cassazione, non dalla corte d’Appello).
La reazione della stampa
La quarta tragedia riguarda la reazione della stampa: l’indifferenza plateale dei mesi scorsi si è trasformata in questi giorni in un allarme completamente inventato. La notizia prima è stata ridotta a un caso di cronaca locale, nonostante per ritrovare uno sciopero della fame in carcere così lungo e radicale in un paese occidentale dobbiamo riandare al militante dell’Ira Bobby Sands, ossia al 1981, sperando che non sia identico anche l’epilogo – Bobby Sands e altri suoi compagni morirono in carcere – oppure riconoscendo che chi sosteneva quella lotta, come il Sinn Fein, oggi è al governo in Irlanda.
Poi è diventato un allarme internazionale, mentre i report sulle “organizzazioni anarchiche” sono molto datati e contraddittori, come può capire chiunque sappia un minimo di anarchismo: le organizzazioni anarchiche non possono essere definite tali, o al massimo possiamo concepirle con il quasi ossimoro di “organizzazioni informali”.
Opinione pubblica intossicata
Chiunque abbia visto i presìdi per Cospito a Roma si è fatto un’idea sia della non minacciosità dei manifestanti sia dei tentativi di provocazione da parte delle forze di polizia che spesso consistono nel ridurre o nell’eliminare la possibilità di manifestare.
Sabato, a cinquanta metri dall’operazione di polizia in grande stile che ha tenuto per tre ore poche decine di anarchici asserragliati in un garage per identificarli e portarli in questura, c’erano centinaia di ragazzi che come in una qualunque serata a Trastevere faceva risse, spaccava bottiglie; e nella stessa città avvenivano tentati omicidi ai negozi di bengalesi.
I ragazzi fermati sono tra l’altro tutti già a piede libero, come era prevedibile vista l’insussistenza delle accuse. La polizia, a cui abbiamo chiesto conto dell’intervento sproporzionato, inutile, e aggressivo, ci ha rimandato a un ufficio stampa, che non risponde mai.
L’opinione pubblica si trova intossicata da questo allarmismo inventato: Repubblica, per fare un esempio maiuscolo, titolava in prima pagina a nove colonne in sprezzo a qualunque principio di realtà “Il ritorno degli anarchici”, alla notizia data evidentemente dalla polizia di «un agente ferito» che però non si capisce da chi sia stato ferito – alcuni testimoni parlano addirittura di un agente in borghese della Digos aggredito per sbaglio dalle stesse forze dell’ordine.
Educazione alla democrazia
La sesta tragedia le contiene tutte: ed è quella di un’educazione alla democrazia. La confusione evidente che in questi giorni si fa tra stato di diritto e stato di polizia o tra terrorismo e protesta è sicuramente il frutto di anni di adulterazione del dibattito pubblico, ma è anche in sé un ulteriore veleno per chi si sta formando alla politica.
È indicativo come una parte consistente di chi sostiene le lotte di Cospito sia composta da studenti, delle superiori o dell’università, che ritengono surreale prima ancora che mefitica questo tipo di narrazione. La sensazione purtroppo è questo quadro diventerà più plumbeo nei prossimi giorni, se non ci saranno altre voci a prendere parola.
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