Vietato l’ingresso nell’ospedale di Popoli alla segretaria del Pd. Il leader della Lega è accerchiato e sogna di arrivare al 10 per cento
Alla destra è consentito fare campagna elettorale su tutto promettendo, a pochi giorni dal voto in Abruzzo, addirittura la linea ferroviaria Roma-Pescara, una delle Godot delle infrastrutture italiane. Ma a una leader del centrosinistra viene vietato l’accesso a un ospedale. Lo ha scoperto, sulla propria pelle, Elly Schlein che ha trovato il divieto di accesso all’ospedale di Popoli, in provincia di Pescara.
La firma sulla disposizione è quella del direttore sanitario della Asl, Alterio Fortunato, il sospetto del Pd è però che si sia trattato di un’operazione politica. La motivazione ufficiale è «la tutela della salute» e le ragioni «di ordine igienico sanitaria, nonché con la necessaria serenità e riservatezza dei pazienti».
Nulla da eccepire se non fosse, come fanno notare dal Pd abruzzese, che il presidente della regione, Marco Marsilio, «in campagna elettorale ha fatto più volte visite in ospedali». A Popoli, per Schlein, è stato applicato un protocollo più rigido.
Un tempismo che ha creato malumori, trattandosi delle ultime ore di campagna elettorale prima del voto di domenica. La segretaria dem non si è persa d’animo. Insieme ad altri dirigenti del partito, tra cui i parlamentari, Luciano D’Alfonso e Michele Fina, ha promosso un presidio nei pressi della struttura sanitaria. Insomma, il nervosismo a destra sfocia nell’ostruzionismo degli avversari.
Doppia cifra
Il sintomo della tensione nei partiti di governo è l’iperattivismo di Matteo Salvini, che nelle ultime uscite pubbliche ha fatto esercizio di ottimismo. «In Abruzzo andremo sopra il 10 per cento», è il mantra che ripete. Parole a favore di telecamere e utili per la propaganda, certo. Ma che rischiano di sbattere duramente contro la realtà: il leader della Lega ha alzato l’asticella oltre ogni livello possibile.
Per questo ha girato in lungo e in largo la regione, dalla costa all’entroterra, provando ad allontanare le ombre del suo disinteresse verso il destino di Marsilio. Ma più che la conferma del presidente, Salvini punta a dimostrare la vitalità del proprio partito.
In fondo il presidente uscente è l’incarnazione del melonismo, fedelissimo della premier. Una sconfitta porterebbe a guardare a palazzo Chigi come grande responsabile. Un Truzzu bis. L’importante è invertire il trend negativo della Lega.
Fatto sta che Salvini ha sparato in alto sul risultato previsto. Perché anche in caso di vittoria del centrodestra in Abruzzo, potrebbe finire sotto processo se non si avvicina a quella soglia. Facendo da preludio a quello che potrebbe attenderlo in caso di naufragio alle europee.
Alle politiche del 2022 i leghisti nella regione hanno superato appena l’8 per cento: al voto dovrebbe far registrare un miglioramento di quel dato. «E negli ultimi tempi la Lega non ha dato segnali di grossa vitalità sotto l’Emilia-Romagna», osserva a microfoni spenti un deputato di Forza Italia.
Proprio il partito di Antonio Tajani punta a essere ancora la seconda forza dell’alleanza, bissando quanto accaduto in Sardegna, per dimostrarsi il soggetto più importante della coalizione dopo i Fratelli di Giorgia Meloni. Un altro passo in attesa del derby di giugno per il voto europeo.
Nordisti di ritorno
I forzisti hanno portato a casa anche una simbolica vittoria nella composizione delle liste future, reclutando Marco Reguzzoni, ex golden boy del leghismo di Umberto Bossi, sparito per anni dai radar politici per le divergenze con la linea di Salvini. Per FI è il segnale di avvicinamento a determinati settori elettorali e imprenditoriali.
Restando in territorio abruzzese, per il leader leghista sarà ancora più impietoso il raffronto con le regionali del 2019, quando la Lega era il traino della coalizione del centrodestra sfiorando il 25 per cento. Per questo il vicepremier ha dovuto per forza aggrapparsi alla speranza della doppia cifra. Per la serie se va bene, ci sarà comunque un dimezzamento dei consensi.
Del resto si parla di un’altra era politica. In questa fase dinamica e delicata, sullo sfondo resta sempre la mozione di sfiducia nei confronti del ministro degli Trasporti, calendarizzata alla Camera per il 25 marzo dopo l’iniziativa lanciata da Azione e abbracciata da tutte le opposizioni. L’esito non è in discussione: sarà respinta. Ma saranno setacciati i comportamenti di tutti, soprattutto degli alleati.
A rendere più cupo il clima intorno alla leadership salviniana, c’è il lancio ufficiale del progetto Libertà, una lista per le europee, presentata ieri alla Camera dal sindaco di Taormina, Cateno De Luca. L’eccentrico ex candidato alla presidenza della regione Sicilia ha siglato una prima intesa con Roberto Castelli, ex ministro dei governi Berlusconi. E soprattutto portabandiera dell’elettorato nostalgico dell’epoca di Bossi.
Un matrimonio patchwork, che punta proprio a impensierire Salvini. «Vivo a pochi chilometri dal pratone di Pontida e posso confermare che è forte la delusione tra i militanti», ha aggiunto Castelli. Il nome chiave, che aleggia sull’iniziativa di De Luca, è sempre quello di Bossi, che è e resta un parlamentare della Lega. Ma lo raccontano sempre più lontano dalla strategia del vicepremier.
A completare il quadro, l’apertura alla presenza nelle liste dei transfughi dalla Lega salviniana. «A patto che credano davvero nel nostro progetto», ha puntualizzato Castelli. E da Sud chiama nord, il partito di De Luca, hanno fatto sapere che qualcuno ha chiesto informazioni per una possibile candidatura. I telefoni squillano, insomma, perché i posti sono pochi.
Un pensiero in più per Salvini, nonostante il risultato del cartello di De Luca sia tutto da decifrare. Ma ogni punto percentuale può far male al vicepremier. Dall’Abruzzo all’Europa, passando per la tappa intermedia della Basilicata.
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