Al Colle si celebra l’arte femminile, il presidente parla dei regimi che perseguitano gli artisti. Neanche stavolta la premier resiste e attacca gli avversari: è quello che ha fatto la sinistra
L’atmosfera è solenne ma festosa, il Quirinale è impavesato di mimose d’ordinanza, corazzieri in alta uniforme, all’esterno per un giorno la Guardia d’onore è al femminile. Il tema scelto da Sergio Mattarella per la celebrazione ufficiale della Giornata internazionale della donna è “Donne e arte”. Sono state invitate le cariche istituzionali, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni è in prima fila, non lontano la ministra Elisabetta Casellati: le due madri della riforma che smonta i poteri del (quipresente) presidente della Repubblica, che procede speditissima al Senato, sorridono tutto il tempo.
Ci sono ministre, ex ministre, capogruppo, il presidente della Camera Lorenzo Fontana, il presidente della Consulta Augusto Antonio Barbera, la vicepresidente del Senato Licia Ronzulli (FI) e quella della Camera Anna Ascani (Pd), la presidente dei deputati Pd Chiara Braga con Chiara Gribaudo, presidente commissione inchiesta sulle condizioni del lavoro in Italia (non c’è la leader dem Elly Schlein, ma non è una notizia: è una segretaria di partito).
Il discorso del presidente della Repubblica è, come sempre, disseminato di riferimenti alla Costituzione che «afferma con efficace semplicità che “l’arte e la scienza sono libere”». Per l’occasione è anche zeppo di citazioni di donne artiste o intellettuali: Artemisia, Lavinia, Grazia Deledda, Matilde Serao, Elsa Morante, Natalia Ginzburg, Alda Merini, Patrizia Cavalli, Carla Fracci, Eleonora Duse, Anna Magnani, Gae Aulenti, Claudia Goldin.
Giorgia Meloni l’ha ascoltato seduta giusto davanti a lui. I due si sono stretti la mano con calore a favore di telecamere, sorrisi reciproci e cordialità che dovrebbero archiviare i giorni delle distanze marcate da palazzo Chigi nei confronti del Colle. È stato quasi un contrappunto, quello della premier: dal giudizio sui manganelli scagliati sulla testa dei ragazzini a Pisa (per lui «un fallimento», per lei «una sistematica campagna di denigrazione» contro le forze dell’ordine), a quello sulla libertà di stampa. Il presidente ne ha parlato proprio mentre la premier, in un comizio elettorale, attaccava alcuni giornalisti (e il nostro giornale) per l’inchiesta di Perugia sulla fuga di notizie riservate.
Il ricordo di Giulia Cecchettin
Nel suo discorso Mattarella parla della violenza maschile sulle donne e ricorda l’omicidio di Giulia Cecchettin, «la cui tragedia ha coinvolto nell’orrore e nel dolore l’intera Italia». Le ragazze in piazza in tutto il paese stanno urlando lo stesso nome. Fa una pausa per concedere spazio al lungo applauso all’assistente Alessandra Accardo, della polizia di stato, «intensamente impegnata sul fronte del contrasto alle violenze sulle donne». Accardo, in prima fila, scatta sull’attenti per ringraziare, visibilmente commossa, come tutti e tutte intorno a lei.
Il ragionamento è pacato e severo. Il presidente difficilmente precipita nella cronaca, in genere va interpretato, e in genere le interpretazioni troppo angolate o maliziose non sono gradite al Colle. L’impressione è che stavolta abbia limato ogni (presunto) spigolo, ogni possibile riferimento all’attualità, in onore della giornata. Con l’effetto oggettivo di un riguardo alla premier, che saluta «particolarmente» (ma nomina al femminile, come fa la ministra Roccella, lei rompendo per distrazione il diktat del genere maschile imposto dalla premier).
Mattarella parte dalla Costituzione afferma che «l’arte e la scienza sono libere», che le donne «nell’arte come in tanti altri campi, per esprimersi e realizzarsi» hanno «dovuto affrontare un supplemento di fatica, un di più di impegno, quasi un onere occulto», che stiamo vivendo una nuova «primavera» della creatività femminile, «senza ignorare che sono ancora frequenti, inaccettabili molestie, pressioni illecite nel mondo del lavoro, discriminazioni, così come da anni viene denunciato».
8 marzo contro la sinistra
C’è giusto un passaggio un po’ più forte degli altri: «L’arte è libertà. Libertà di creare, libertà di pensare, libertà dai condizionamenti. Risiede in questa attitudine il suo potenziale rivoluzionario: e non è un caso che i regimi autoritari guardino con sospetto gli artisti e vigilino su di loro con spasmodica attenzione, spiandoli, censurandoli, persino incarcerandoli.
Le dittature cercano in tutti i modi di promuovere un’arte e una cultura di stato, che non sono altro che un’arte e una cultura fittizia, di regime, che premia il servilismo dei cantori ufficiali e punisce e reprime gli artisti autentici». Qui al Quirinale sono state invitate a esprimersi artiste libere e anche molto brave, e donne autorevoli: la cantautrice Etta Scollo (che esordisce con un «presidente, sono emozionata, le voglio bene»), la direttrice della galleria Borghese Francesca Cappelletti, la scrittrice Helena Janeczek e una strepitosa street-artist, Chiara Capobianco.
Ma alle parole «regimi autoritari» e «servilismo dei cantori ufficiali» per i presenti è difficile non ripensare alla scena dello street-artist Jorit che si fa un selfie con Putin e gli rivolge una frase tragicamente fantozziana, «per mostrare all’Italia che lei è umano come tutti». In Italia ne è nata una polemica: l’eurodeputata Pina Picierno ha chiesto l’inserimento dell’artista «tra gli individui sottoposti a sanzione da parte dell’Ue», beccandosi le rampogne di qualche editorialista.
Non sappiamo dell’intenzione del presidente, sappiamo che questo viene in mente alle presenti. Non a Meloni che, prima di lasciare la sala dei Corazzieri, davanti ai cronisti non riesce a non fare l’ennesima polemica contro gli avversari politici, è più forte di lei, una vera ossessione: «Sono d’accordo con Mattarella. Per questo non ho mai condiviso una certa censura che, per esempio, la sinistra italiana ha lungamente fatto di tutti quelli che non erano d’accordo con loro». Mattarella aveva volato alto, pensando semmai ai regimi autoritari che perseguitano donne e artiste, dalla Russia all’Iran.
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