La vicenda alta velocità in val Susa ricorda quegli incontri di pugilato in cui due pesi massimi, dopo essersele date di santa ragione per quindici riprese, si trascinano esangui verso il suono della campana che fa terminare il match e le pene.

Da uno parte lo Stato, incardinato dentro un progetto in cui non crede per questioni di principio, dall’altra il movimento, dissanguatosi a furia di repressione, denunce e delusioni. Sul terreno rimangono cantieri che sono ormai simboli di un potere che controlla una valle ribelle più che luoghi di lavoro.

Della ultra trentennale vicenda Tav è mancato ieri il simbolo per eccellenza, l’uomo che ha diviso l’Italia tra chi voleva la Torino – Lione e chi si opponeva: Alberto Perino, 78 anni, è morto a casa sua, in un paese della bassa val Susa, Condove.

Perino famoso volto del Movimento No tav ha lasciato una impronta molto profonda nella società italiana, nella cultura e nella politica. In queste ore viene ricordato in primis, e in modo assai miope, per le sue peripezie giudiziarie, e spesso è anche raccontato come un uomo che ha fomentato la violenza “dei centri sociali”.

Nulla di più lontano dalla realtà: lui, e molti altri, furono quelli che fermarono le derive in arrivo da tutta Italia e tutta Europa che pensavano portare avanti regolamenti di conti in sospeso. La violenza politica in val Susa è stata indubbiamente presente e molto forte, ma rispetto alle forze che si riversarono sul territorio negli anni 2005-2013, il contenimento fu assicurato dall’interno e da figure come la sua. Lo testimoniano gli stessi capi d’accusa di cui Perino, rispondeva: blocchi autostradali, rottura dei sigilli di sequestro, resistenza e poco altro.

Ricordo ancora adesso quando nel pieno dello sgombero di Chiomonte del giugno 2011 Alberto Perino si lanciò personalmente a fermare una sassaiola che aveva preso di mira la grossa ruspa che stava abbattendo delle imponenti barricate.

Dove c’era lui la violenza non c’era: ma ovviamente lui non poteva essere ovunque. La val Susa e il movimento sono stati per lunghi anni l’incubatore di una nuova ideologia che prevedeva l’impegno totale, l’anti partitismo, il “né di destra né di di sinistra contano solo le cose”, la cura dell’ambiente e del territorio – con non troppo dichiarate sfumature anticapitaliste che occhieggiavano alla decrescita, e la critica radicale al sistema giornalistico: questa la struttura fondante culturale del mondo No tav. Che fece proselitismo in tutta Italia anche grazie alla figura di Alberto Perino, scontroso con i giornalisti che però per lui stravedevano dato che era mediaticamente molto efficace: sempre chiaro, lapidario, sarcastico.

Perino, già bancario con un passato a muso duro nel campo dell’antimilitarismo e del pacifismo – che gli costò diversi passaggi in tribunale insieme ad altri militanti degli anni Settanta – non è stato il fondatore di questo processo, ma ne è stato la voce maggiore che l’ha portato in Italia. E, a raccoglierla, furono quasi venti anni fa gli embrioni di un altro Movimento, il cinque stelle.

La simbiosi

Si può anche trovare la data di quella ibridazione tra la val Susa e quelli che sarebbero stati i fondatori, e gli ideologi, di un fenomeno politico dirompente che ancora oggi, nonostante le capriole, anche sulla vicenda Tav, terremota la società italiana.

Era il 15 dicembre 2005, e pochi giorni prima c’erano stati il violentissimo sgombero del piccolo presidio di Venaus e poi la battaglia campale che portò alla riconquista del territorio: sul palco del parco della Pellerina di Torino, di fronte a 50mila persone, tennero un comizio infuocato lui, incoronato capo – ma guai a dire che il movimento No tav aveva un capo, anche lì vigeva l’orizzontalità del potere – Beppe Grillo, Dario Fo, Franca Rame e Marco Travaglio.

Da quel giorno la simbiosi tra Movimento No tav, escluse alcune corpose frange riconducibili a Rifondazione Comunista, e il M5s, è stata totale, con percentuali di voto bulgare che diedero grandi speranze quando i ministri cinque stelle, venuti negli anni precedenti in pellegrinaggio in val Susa “per imparare come si fa politica”, dovettero fare i conti con quella che poi definirono “realtà”.

Era il tempo del governo Conte 1, il tempo delle grandi speranze: arrivò poi la resa dei cinque stelle a Salvini e l’amarezza.

Alberto Perino, amico di Beppe Grillo, in anni passati uniti perfino da un processo che li vedeva imputati a Torino, in quell’occasione ruppero apertis verbis: oggi in val Susa, avanza la destra di Giorgia Meloni.

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