Il leader di Italia viva puntava a restare centrale con una strategia aggiornata dei due forni. Ma insieme a +Europa non è andato oltre gli 800mila voti
Una decadenza lunga un decennio. Da un voto per le europee all’altro. E i numeri a bollinare la fine di un ciclo, il crepuscolo di una carriera politica. Quella di Matteo Renzi è la storia di un declino inesorabile, alla continua ricerca di un colpo di scena per invertire una tendenza negativa. Solo che gli effetti speciali non sempre riescono ad avere risultati altrettanto speciali. Le europee di quest’anno ne sono la prova.
Bocciatura elettorale
Il responso porta il leader di Italia viva a un passo dall’irrilevanza politica. Con un effetto personale: la fine dell’èra delle conferenze e del politico consulente. Il peso nel palazzo si sgonfia, e allora resta poco da fare. Si prova a recitare un mantra ottimista nella sua cerchia di fedelissimi. «Rappresentiamo il centro riformatore, che è fondamentale per il paese.
La disponibilità al dialogo istituzionale non l’abbiamo mai negata», ha scandito la coordinatrice di Italia viva, Raffaella Paita. Stessi toni usati da Maria Elena Boschi, convinta della bontà di un progetto che – alla sua nascita – sembrava aver il 4 per cento alla sua portata.
In effetti sembra trascorso un secolo da quando nel 2014 Renzi era all’apice del fulgore. Appena arrivato a palazzo Chigi, gongolava per il famoso 40 per cento del Partito democratico con oltre 11 milioni di voti conteggiati alla fine dello scrutinio.
Da lì la sensazione dell’avvio di un ciclo politico, almeno decennale. E invece? Oggi, anno di grazia 2024, l’ex presidente del Consiglio, nel frattempo uscito dal Pd, si è aggrappato al progetto degli Stati Uniti d’Europa, insieme a Emma Bonino. L’esito è stato fallimentare: il 3,76 per cento. Tradotto in numeri reali: il conteggio ha portato in dote 800mila voti.
Due partiti hanno messo insieme meno di un decimo dei consensi che il primo Renzi, con il solo Pd, era riuscito a macinare: i leggendari 11 milioni di preferenze. Il voto dell’8-9 giugno sancisce di fatto la fine di un leader capace di reinventarsi sempre e comunque. Il passaggio delle elezioni doveva rivitalizzare il rottamatore di un tempo, oggi portatore del verbo europeista in controtendenza in un clima di estremismo populista. Pochi voti ma buoni, era la logica che muoveva il progetto.
Obiettivo due forni
Al netto delle sottili teorie politiciste, l’obiettivo di Renzi era restare centrale con il suo gruzzolo di consensi personali, quel 3 per cento fondamentale per spostare gli equilibri. Così da farsi corteggiare a sinistra o a destra, in base alle necessità. Un modello riveduto e aggiornato della strategia dei due forni, un mastellismo 2.0. Solo che per mettere in pratica la teoria serve un po’ di solidità, che significa avere quei voti.
A conti fatti non ci sono. Perché, pur a cercarli con il lanternino, Italia viva può mettere sul tavolo 300-400mila voti, in particolare al Sud grazie ad alcuni signori delle preferenze, che non spostano alcunché nell’ambito nazionale.
Nemmeno le 200mila preferenze ottenute direttamente da Renzi hanno modificato il corso degli eventi. Sono una magra consolazione di un seguito immarcescibile di fedelissimi. Alle comunali di Firenze si sta palesando la perdita di peso del renzismo: Stefania Saccardi, schierata dall’ex premier per sgambettare il Pd, rischia seriamente di non essere centrale nemmeno nella partita del ballottaggio.
Missione fallita, dunque, per Renzi che puntava a rendere eterno il fascino di chi riesce a fare e disfare governi con un 2-3 per cento di consensi. Per informazioni citofonare a Matteo Salvini, che allora era ancora reduce dal caldo del Papeete e si è ritrovato all’opposizione nel 2019. Il motivo? La mossa del cavallo di Renzi, che aveva avallato l’alleanza con gli odiati Cinque stelle.
Ed è stato capace di restare a galla alle politiche del 2022 quando, secondo i sondaggi, era destinato a finire ai margini della scena politica. Invece con un colpo di scena, uno dei tanti, ha portato a casa l’intesa con Carlo Calenda con la promessa di magnifiche sorti e progressive per i liberaldemocratici, grazie alla nascita di un Terzo polo. La storia è nota: il banco è saltato ai primi passaggi concreti per arrivare alla nascita del partito unico.
E lo scenario futuro non cambierà nonostante la débâcle del voto europeo. Calenda ha subito il colpo della sconfitta alle europee. Lo ha ammesso.
Ma non è intenzionato a tornare indietro: «L’elettorato di Azione è incompatibile con Renzi». Così la battaglia è rinnovata su un nuovo campo. L’ex candidato sindaco di Roma ha annunciato una «fase costituente». Per mettere all’angolo l’odiato ex alleato.
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