Direzione del Pd: il tasto dolente del referendum e le alleanze nella nuova situazione internazionale. «Serve continuare a lavorare nella prospettiva di un’alternativa alle destre»
Sì ai quattro referendum sul lavoro della Cgil e a quello sul dimezzamento dei tempi per ottenere la cittadinanza italiana. Alla direzione del Pd Elly Schlein affronta il tasto dolente del quesito contro il Jobs Act. L’ala riformista del suo partito non lo voterà, spiega Alessandro Alfieri, portavoce della minoranza: «È un referendum che considero superato». La linea del partito è opposta, ma la segretaria la mette giù morbida, senza strappi: «Il Pd supporta tutti i referendum», chiede di «invitare tutti a votare, anche chi voterà diversamente», sperando di favorire il quorum (come le ha chiesto Maurizio Landini), ma non chiede «abiure a chi non li ha firmati tutti e non voterà a favore di tutti».
I riformisti le hanno chiesto anche di marcare la differenza con le posizioni «filo Trump» di Giuseppe Conte. Ma anche qui, la linea del Pd resta quella di Schlein: quella del «testardamente unitari». Insomma la non belligeranza. A due anni dalla vittoria delle primarie, la segretaria usa i consueti toni rotondi, ma alla fine a guidare le danze, e il partito, è lei. E la sua relazione viene approvata all’unanimità.
Chiama un lungo applauso per papa Francesco, ricoverato dal 14 febbraio al Policlinico Gemelli; accusa la premier Meloni di «non aver detto una parola sugli attacchi di Trump all’Europa», la sfida a scegliere «fra il cappellino di Trump o la maglia dell’Ue», l’accusa di «scappare» dal parlamento, dove la invita a riferire prima del prossimo Consiglio europeo. Il Pd, dice, non è «con Trump e il suo finto pacifismo», sta con l’Europa ma «non per proseguire la guerra». Frase, quest’ultima, contestata dalla vicepresidente del parlamento europeo Pina Picierno che replica seccamente: «Non è mai stata la Ue a voler continuare la guerra», «è stato Putin a rifiutare sempre il dialogo». Schlein replicherà nelle conclusioni: «Non sono d’accordo sul fatto che l’Europa non potesse fare niente di diverso».
La segretaria schiera il Pd a favore della difesa europea, ma a una condizione: che la spesa per la difesa «non vada a scapito della spesa sociale». Facile solo a dirsi. In tempi di coperte corte, la soluzione non è lo scorporo delle spese militari che chiede la destra, ma «la spesa comune europea», nella prospettiva «dell’autonomia strategica dell’Europa», concorda Piero De Luca.
Anche sul centrosinistra Schlein fa capire che non è ancora arrivato il momento di stringere i potenziali alleati. Non è arrivato neanche il momento di chiarirsi, per esempio sulle infelici frasi di Conte su Trump (che avrebbe «smascherato la propaganda bellicistica sull’Ucraina», poi ha aggiustato il tiro). «Io sono la prima a vedere le differenze e a mettere i puntini sulle “i”» dice la segretaria, «ma se usciamo dalla bolla social» l’atteggiamento unitario del Pd «porta frutti».
Verso le politiche «serve continuare a lavorare nella prospettiva di un’alternativa alle destre che sia qualcosa di più di un cartello fra partiti che si accordano a tre mesi dalle elezioni». Bocciata dunque la proposta di Dario Franceschini.
Per ora c’è un impegno «per costruire il progetto per l’Italia, in dialogo con la società e le rappresentanze del lavoro, del mondo produttivo e del terzo settore», poi certo, anche con «i nostri interlocutori politici». Ma si capisce che per tutto il 2025 il discorso sulla coalizione resterà al palo. Se ne parlerà solo per le amministrative.
Al comune di Genova c’è già una candidata unitaria, Silvia Salis. Per le regionali si vedrà. In Campania si annunciano dolori: il presidente Vincenzo De Luca aspetta la sentenza della Consulta sul ricorso per il suo terzo mandato. Per chiudere il caso, o, meglio, per aprirlo.
© Riproduzione riservata