La prossima manovra ha una sola certezza: la scarsità di risorse. Eppure, anche quando gli stanziamenti sono a disposizione, il governo Meloni non brilla. Sono infatti quasi 15 i miliardi di euro fermi per la mancanza dei decreti attuativi necessari a rendere esecutivi vari provvedimenti approvati dall’inizio della legislatura.

Solo per l’anno in corso sono bloccati 5 miliardi e mezzo di euro, il resto riguarda il biennio 2025-2026. A Palazzo Chigi su questo punto c’è più di qualche problema, nonostante al vertice del dipartimento per l’Attuazione del programma ci sia Giovanbattista Fazzolari, un peso massimo di Fratelli d’Italia. Tra un suggerimento a Giorgia Meloni e l’elaborazione di strategie per il suo partito, l’eminenza grigia del melonismo non riesce a far funzionare il meccanismo a pieni giri. A conti fatti sono 401 i decreti attuativi in attesa di definizione su un totale di 750 previsti. Più della metà.

Certo, i decreti attuativi sono una piaga per ogni governo e hanno responsabilità diffuse. La stesura spetta ai vari dicasteri. A Fazzolari spetta tuttavia il compito di tampinare i vari uffici ministeriali per l’adozione dei testi. Nel precedente esecutivo, Mario Draghi aveva affidato il dossier al sottosegretario Roberto Garofoli, che aveva stabilito norme rigide e dei target per ogni ministero. Un modus operandi archiviato con la destra al potere.

La tendenza è quella di ribaltare la narrazione, specialità della casa fazzolariana. Nell’ultima relazione del dipartimento, datata 28 giugno, era stato tracciato un bilancio positivo, parlando di «minimo storico di decreti da adottare» in termini assoluti. E c’è un aspetto ulteriore: la contabilità deve tener conto anche del peso economico di ogni provvedimento, specie in tempi di ristrettezze.

Dalla Salaria allo sport

Il panorama delle misure in stand-by non risparmia praticamente nessuno. A cominciare dalle scadenze non rispettate. Alcuni finanziamenti sono finiti fuori tempo massimo: erano in programma per il 2023 e a settembre 2024 sono sempre impantanati. È il caso dei 250 milioni di euro che il ministero delle Infrastrutture di Matteo Salvini avrebbe dovuto liberare per il «potenziamento, riqualificazione e adeguamento della Salaria» o dei 62 milioni di euro all’anno che il Viminale di Matteo Piantedosi dovrebbe erogare al fondo nato per «ristorare i comuni per le minori entrate derivanti dalle esenzioni Imu sugli immobili occupati». E ancora, c’è il caso dei 40 milioni di euro che, entro lo scorso anno, dovevano essere sbloccati per il «riparto del contributo per la gestione e incrementazione dell’identità digitale».

Ancora più pesante è il ritardo del ministero delle Imprese di Adolfo Urso, che tiene nel cassetto un miliardo di euro, messo a disposizione per il «fondo nazionale del made in Italy». Ci sono poi scadenze imminenti: entro il 5 settembre, il ministero del Sud di Raffaele Fitto, prossimo al trasloco in Europa, deve provvedere a emanare il decreto per gli «investimenti in beni strumentali per le imprese operanti nelle zone logistiche semplificate e limitatamente alle zone ammissibili agli aiuti a finalità regionali». Un intervento che interessa il Mezzogiorno e le aree depresse, con un valore complessivo di 200 milioni di euro. Almeno sulla carta, visto che lo stanziamento esiste solo su quel livello.

Stesse zone, ma un dicastero diverso, riguardano gli «investimenti nel territorio delle regioni Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, finalizzati a sostenere lo sviluppo e la crescita economica, la competitività territoriale e l’attrazione di nuovi investimenti». La dotazione di oltre un miliardo giace nei cassetti del ministero dell’Ambiente di Gilberto Pichetto Fratin.

Nemmeno la cultura viene risparmiata dalla lentezza sui decreti attuativi. Il ministro Gennaro Sangiuliano ha a disposizione 488 milioni di euro per il «piano di azione per la rivitalizzazione dei luoghi della cultura, per la partecipazione culturale, per la rigenerazione socio-culturale di aree urbane caratterizzate da marginalità sociale ed economica». Il testo non ha visto la luce. Sono solo alcuni esempi di un elenco interminabile, che lambisce addirittura il contrasto alla criminalità organizzata. Un esempio è l’attesa per il decreto per indicare la «composizione della Struttura per la prevenzione antimafia». Fino ad arrivare allo sport.

Al momento il dicastero di Andrea Abodi non ha completato il testo per far nascere la commissione deputata al controllo sui conti della società sportive. Un intervento che ha fatto litigare sport e politica, ma che ancora deve diventare esecutivo. Al rientro dalle ferie Fazzolari ha già una montagna di decreti da smaltire.

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