L’inchiesta in Liguria è l’esempio dell’assenza di trasparenza sui finanziamenti ai partiti. Le donazioni delle società sono sempre più importanti per dare ossigeno alle forze politiche
Soldi di società e imprenditori che finanziano partiti con i bilanci in affanno. E leader in campagna elettorale alla disperata ricerca di fondi, che innescano un do ut des quantomeno pericoloso. Talvolta al limite del torbido, grazie a un vuoto normativo. Perché le leggi in vigore non brillano per trasparenza. Anzi.
Non proprio il miglior viatico per le elezioni di giugno, con i candidati che devono provare a raggranellare risorse economiche per cercare un posto nell’Europarlamento. Lo scoperchiamento del sistema Toti in Liguria è diventato un paradigma dei mille tic che caratterizzano il finanziamento della politica, al netto delle implicazioni giudiziarie. Abolito il sostegno pubblico, con la riforma voluta dall’allora governo di Enrico Letta, la situazione sembra addirittura peggiorata: le cosiddette elargizioni liberali, le donazioni di persone fisiche o di società, sono di vitale importanza per tenere almeno la linea di galleggiamento.
Senza freni
«Il presidente Toti era sostenuto non da chi ne condivideva le idee, ma da chi si aspettava in cambio delle donazioni decisioni favorevoli e trattamenti preferenziali», dice a Domani Federico Anghelè, direttore dell’associazione The Good Lobby, che di recente ha tenuto a Roma un seminario sul tema. Un quadro impietoso. Anghelè osserva ancora: «L’assenza di regole e di codici di condotta, che i partiti colpevolmente continuano a non darsi in materia di finanziamento da parte dei privati, genera, ancor prima che illeciti, evidenti conflitti di interesse».
I numeri aiutano a capire il meccanismo che ha alimentato il “sistema Toti”. Nel 2022, quando si sono tenute le elezioni politiche, sono stati versati nelle casse dei vari partiti – con il meccanismo delle donazioni – oltre 32 milioni di euro, come riferisce il rapporto annuale di Transparency. Rispetto al 2018, anno delle precedenti elezioni politiche, c’è stato un balzo di quasi 9 milioni di euro.
Certo, in mezzo a quella cifra c’è di tutto: i parlamentari e i consiglieri regionali, che destinano al partito di riferimento la somma pattuita, rappresentano la fetta più ampia della torta. Ma altrettanto decisivi sono i versamenti di persone, talvolta imprenditori che motu proprio mettono mano al portafogli, così come grandi e piccole società, oppure fondazioni e associazioni.
Liquidità dà ossigeno ai bilanci delle forze politiche in un groviglio di nomi e numeri, in cui diventa difficile orientarsi. Spesso non basta a tenere in salute i conti. Un esempio è la Lega per Salvini premier. Nel 2022 ha incassato oltre 2 milioni di euro dalle donazioni di singole persone, società o associazioni. Ma comunque ha chiuso con un disavanzo di quasi 4 milioni di euro. Discorso simile, seppure diverso nei numeri, per Italia viva che ha incassato quasi 2 milioni di euro dai finanziamenti privati, ma non ha evitato il piccolo disavanzo di 50mila euro. Si torna così al punto di partenza: senza elargizioni liberali il piatto piange.
Regole minime
E come se ne può uscire da questo sistema intricato? The Good Lobby ha fornito qualche linea guida, come l’adozione di un codice di condotta.
«Per preservare l’integrità del processo democratico, riteniamo necessario che la politica affronti con trasparenza e responsabilità tutti i casi di donazione con potenziale conflitto di interesse tra donatori e riceventi di finanziamenti politici», si legge nel documento presentato insieme ad altre organizzazioni, come Raise the Wind e Volt. E ancora: «Partiti e politici che ricevono donazioni a sostegno delle campagne elettorali devono impegnarsi a rendicontare le spese in maniera chiara e corretta entro 90 giorni». Ci sono accorgimenti tecnici altrettanto importanti: «Sarebbe indispensabile disporre di una piattaforma centralizzata che raccolga e organizzi i dati secondo i migliori standard open data», annotano da Transparency.
In parlamento il tema del finanziamento è sentito. L’ultima frontiera di sostentamento pubblico è il due per mille, la quota che ogni contribuente può dare a un partito segnalando un apposito codice nella dichiarazione dei redditi. Nel 2023, c’è stato solo un milione e 744mila di scelte valide del codice su un totale di 41 milioni e mezzo di contribuenti. Le risorse distribuite tra i vari partiti ammontano a meno di 25 milioni di euro, in crescita rispetto agli anni scorsi. Ma una cifra inferiore in confronto alla parte proveniente dalle donazioni.
«La legge dovrebbe reintrodurre un equilibrio tra le due fonti di finanziamento e migliorare la trasparenza del processo offrendo ai cittadini dati completi, accessibili e di qualità, senza opacità che influiscono sulla fiducia di chi va alle urne», sottolinea il dossier di Transparency. Ci sono delle proposte di legge depositate per ridare centralità ai partiti. Alla Camera e al Senato un po’ tutti allargano le braccia sconsolati di fronte al dibattito sui costi della politica.
Addirittura il Movimento 5 stelle di Giuseppe Conte ha deciso di accedere al 2 per mille per mettere un po’ di soldi freschi nelle casse. Il dibattito sulle modifiche alle modalità di finanziamento è stato ufficialmente rilanciato a mezzo stampa dalla vicepresidente del Pd, Chiara Gribaudo.
«Dopo le europee bisogna riprendere un confronto serio, senza pregiudizi o contrapposizioni politiche», dice Gribaudo a Domani. I punti di partenza, secondo la proposta, sarebbero l’aumento dal due al quattro per mille della somma destinata dai contribuenti con la dichiarazione dei redditi e prevedere un meccanismo per distribuire “l’inoptato”. Poi serve la buona volontà. Ammesso che tutti vogliano superare l’opacità attuale.
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