- I partiti continuano a riunirsi senza trovare un vero accordo sul testo che giace alla Camera da mesi. L’ultimo incontro tra Pd, M5s, Leu, Italia viva e i gruppi di centrodestra non ha portato a nulla.
- Il Comitato etico marchigiano ha sollevato dubbi sulle «modalità, la metodica e il farmaco» richiesto da Mario e non ritiene di sua competenza stabilire con quale procedura il paziente possa porre fine alla sua vita.
- Il ministero della Salute, impegnato in questi giorni nella definizione di nuove misure per contenere l’emergenza Covid, rimane silente.
In parlamento la legge sul fine vita rischia di essere rinviata di nuovo e, complici i decreti ancora da approvare e la sessione di bilancio alle porte, forse anche all’anno prossimo.
E nel frattempo l’uomo che da undici anni è paralizzato dalle spalle ai piedi, che abbiamo imparato a chiamare con il suo nome di fantasia, Mario, dovrà proseguire da solo la sua gincana amministrativa e giudiziaria nelle Marche per poter ottenere il via libera definitivo al suicidio medicalmente assistito.
I partiti continuano a riunirsi senza trovare un vero accordo sul testo che giace da mesi alla Camera. L’incontro di ieri non ha portato quasi a nulla: le votazioni notturne sono saltate, la commissione Giustizia è stata convocata oggi alle 14 ma non c’è certezza che si prosegua con l’esame delle modifiche, e la solita richiesta di accelerare i lavori da parte di Pd, M5s, Leu e Italia viva non è stata accolta.
Il centrodestra non cerca un vero compromesso, preferisce temporeggiare nella speranza di un rinvio lungo che potrebbe essere favorito dagli stessi lavori parlamentari tra decreti in scadenza, fiducia sulla riforma del processo civile e sessione di bilancio alle porte.
Il caso di Mario
Intanto, Mario, che nelle Marche sta attraversando un lungo iter burocratico perché la sua richiesta di suicidio assistito venga accolta, dovrà proseguire la sua battaglia da solo.
Il Comitato etico dell’Azienda sanitaria unica regionale ha riconosciuto, nella sua richiesta, la presenza delle quattro condizioni stabilite dalla Corte Costituzionale nella sentenza 242 del 2019 sul caso Cappato-Dj Fabo: a causa di un grave incidente stradale che gli ha fratturato la colonna vertebrale, Mario è tenuto in vita «da trattamenti di sostegno vitale», «affetto da una patologia irreversibile», «fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche». Ma è ancora «pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli».
Il nodo della procedura
Il via libera – atteso da oltre un anno e preceduto da due sentenze del tribunale di Ancona – ha però portato all’ennesimo stallo. Il Comitato etico marchigiano ha sollevato dubbi sulle «modalità, la metodica e il farmaco» richiesto dal paziente (20 grammi di tiopentone sodico) e non ritiene di sua competenza stabilire con quale procedura il paziente possa porre fine alla sua vita.
La regione Marche, dall’altra parte, ha specificato che sarà il tribunale di Ancona a decidere se Mario potrà avere diritto al suicidio medicalmente assistito. «Ma il tribunale si è già espresso e non c’è in questo momento un procedimento giudiziario aperto», replica Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Coscioni che ha assistito Mario nel labirinto legale di questi anni.
L’associazione ha intenzione di fornire, in collaborazione con un esperto, «il dettaglio delle modalità di auto somministrazione del farmaco idoneo per Mario». Una responsabilità, però, che non dovrebbe essere addossata al paziente, precisa Cappato: «Mario, come qualsiasi altro nella sua situazione, non dovrebbe essere obbligato ad avere dei consulenti medici».
La sentenza della Consulta del 2019 in realtà su questo punto appare inequivocabile: alle strutture pubbliche del servizio sanitario nazionale spetta non solo la verifica delle condizioni che rendono legittimo il suicidio assistito, ma anche delle «modalità di esecuzione» che possano «garantire la dignità del paziente» ed evitargli sofferenze.
Quantomeno, ha specificato la Corte, «in attesa della declinazione che potrà darne il legislatore». Ed è qui il centro della questione. Ancora una volta, il delicato percorso verso il fine vita è intralciato dalla mancanza di una legge sul tema, ormai a tre anni dalla decisione della Consulta che sollecitava l’intervento del parlamento.
La legge alla Camera
La proposta di legge sul fine vita è incastrata fra le difficoltà di un accordo fra Pd, M5s, Leu e Iv e i partiti di centrodestra, ancora insoddisfatti del testo.
Solo nell’ultimo mese, l’arrivo del provvedimento in aula è stato rimandato tre volte: dal 22 ottobre al 22 novembre, poi al 29 novembre, lunedì prossimo, una data che nessuno dei parlamentari coinvolti ritiene realistica. «È assurdo pensare che la proposta di legge possa arrivare in aula il 29», commenta Roberto Turri della Lega, «ci sono tanti emendamenti da votare e ci sono altri provvedimenti in scadenza».
Il lavoro mediazione qualche piccolo passo avanti lo ha portato: il testo iniziale si limitava ad accogliere alla lettera le indicazioni della Consulta e ora include l’obiezione di coscienza per il personale sanitario, come richiesto dal centrodestra.
Rimane il sospetto, fra chi è a favore, che la legge sull’aiuto al suicidio possa fare la fine del ddl Zan: «Non sappiamo ancora se da parte del centrodestra ci sia una reale e sincera disponibilità a stare nel merito o si tratti di una battaglia politica», commenta il relatore dem Bazoli. Il deputato ex M5s Giorgio Trizzino è ancora più netto: «Stanno tentando di affossarlo, la politica dimostra di essere distante dalla vita e la morte delle persone».
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