A due anni dalla scadenza del Piano nazionale di ripresa e resilienza, sono stati effettivamente impiegati solo 59 miliardi di euro. Ora il neocommissario europeo scarica sul suo erede un compito immane
Raffaele Fitto ce l’ha fatta. Dalla gestione del Pnrr italiano è passato a sovrintendere i Fondi di Coesione europei. Una vittoria personale per l’ex presidente della regione Puglia, che però scarica sul suo erede, Tommaso Foti, un compito immane: l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, che sconta i ritardi finora accumulati. Con la deadline del 2026 che si avvicina.
«Fitto passerà la patata bollente a chiunque prenderà il suo posto», spiegavano prima del suo trasloco definitivo in Europa fonti parlamentari di maggioranza. Un riferimento chiaro alla realizzazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza.
«Fitto trasloca lasciando dietro di sé una lunga serie di risultati molto discutibili e ritardi sull’utilizzo di Pnrr e Fondi di Coesione che rischiano di produrre macerie», dice Ubaldo Pagano, deputato del Pd.
«Dopo un’ennesima revisione del Piano, pattuita di nascosto solo qualche settimana fa, un report della Banca d’Italia ha certificato le gravissime difficoltà nell’attuazione, rivelando che almeno un terzo dei cantieri previsti registra seri ritardi rispetto alla tabella di marcia», osserva ancora l’esponente dem sollecitando un chiarimento sul trasferimento delle risorse sul «Ponte sullo Stretto sottraendoli all’utilizzo per tutte le regioni meridionali».
Tempi e spesa
Del resto, nel governo prende sempre più quota l’idea di sostenere la battaglia avviata, nemmeno troppo sottotraccia, dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti: prevedere una deroga sui tempi di realizzazione del Piano.
Fitto ha sempre negato l’eventuale dilazione. La negazione del ragionamento era funzionale al suo trasferimento in Europa: l’appoggio all’idea del Mef poteva suonare come un’implicita ammissione delle sue mancanze.
Certo, il commiato dell’uomo di Fratelli d’Italia a Bruxelles è arrivato tra le fanfare mediatiche perché, a fine novembre, c’è stato il via libera della Commissione europea al pagamento della sesta rata da 8,6 miliardi di euro. Solo che, fino a poche settimane fa, la spesa era inchiodata a 51,2 miliardi di euro, il 26,4 per cento del totale.
Nel secondo semestre dell’anno c’è stata un’effettiva accelerazione, che ha portato il dato di spesa complessiva a 59 miliardi di euro. Ma si tratta, comunque, di un avanzamento non adeguato a colmare le lentezze dei primi anni provocati anche dai cambiamenti continui e dalla revisione complessiva, voluta da Fitto, che ha frenato l’attuazione.
Il primo passo del governo Meloni è stato quello di accentrare a palazzo Chigi le funzioni creando appunto il “super ministero” affidato al neo commissario europeo. Da qui al 2026, nell’ultimo biennio a disposizione, c’è bisogno di far decollare le opere. Foti è chiamato a completare la cosiddetta «messa a terra», che è poi la realizzazione concreta del Piano.
Tanto per rendere l’idea solo la scorsa settimane c’è stato il via libera ad altre 4 modifiche chieste dal governo Meloni, attraverso Fitto. Che – come fanno trapelare da palazzo Chigi – resterà la «sponda decisiva per l’Italia».
Poca trasparenza
Al netto degli auspici, il Pnrr non brilla su un altro versante: la trasparenza. Lo stato di avanzamento dei cantieri non è mai chiaro, nonostante un decreto ad hoc approvato lo scorso marzo per avere un panorama sull’uso delle risorse da parte delle amministrazioni locali.
L’associazione Openpolis ha riferito dell’ennesimo rifiuto degli accessi agli atti a inizio novembre. «La nostra richiesta riguardava i dati di dettaglio sulla spesa sostenuta per ogni singolo intervento. Si tratta di informazioni particolarmente importanti, perché il dato sulla spesa sostenuta rappresenta un indicatore utile per valutare lo stato di avanzamento delle diverse opere», ha riferito Openpolis sul proprio sito.
Con un’aggiunta: «Attualmente il governo ha condiviso dei dati aggregati solo a livello di misura. Questo rende impossibile valutare a che punto sono i singoli interventi sui diversi territori del paese, quali stanno rispettando i tempi e quali invece sono in ritardo».
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