Marco Furfaro (deputato Pd vicinissimo a Elly Schlein, responsabile Iniziative politiche in segreteria, ndr), Renzi e Conte se le suonano di santa ragione, il progetto di un centrosinistra sembra affondare, la segretaria Schlein, che dovrebbe guidarlo, non interviene. Perché?

Perché il Medio Oriente è in fiamme, le donne e i bambini palestinesi vengono uccisi a migliaia, Vladimir Putin minaccia di usare l’atomica. L’Italia non ha un ruolo in politica estera e la comunità internazionale è asservita a interessi più grandi della politica e dell’umanità. E in tutto questo, abbiamo un governo che da un lato premia chi evade e dall’altro punisce chi non ha niente, azzerando il fondo affitti e per la morosità incolpevole. Dobbiamo intervenire, non solo Schlein, su questo innanzitutto. Eppure nel centrosinistra c’è chi passa il tempo a litigare, a guardarsi l’ombelico. Ci vuole coraggio poi a lamentarsi che la gente non va più a votare.

Se non vincerete la Liguria, però, alle tragedie globali si aggiungerà la vostra sconfitta.

La cosa più grave di quello che è accaduto in Liguria non è il dibattito “tu sì, tu no”. È la presunzione dei leader politici di decidere sulla pelle della gente che vive in quel territorio. Le faccio un esempio: a casa mia, a Prato, città che la destra voleva strapparci, Renzi e Calenda sono voluti andare da soli, nonostante gli appelli a stare uniti. Abbiamo costruito una coalizione dai moderati alla sinistra, passando per civici e M5s. Abbiamo vinto al primo turno, Iv e Azione non sono entrati in Consiglio comunale. La gente non è interessata ai nostri schemini politicisti, vota se è convinta da una coalizione unita e appassionata.

Vuole dire che è meglio che Renzi resti fuori?

Voglio dire che in Liguria decidono i liguri. Andrea Orlando sta facendo un gran lavoro, averlo “sporcato” da Roma è segno di scarso rispetto verso le persone che militano ogni giorno in quel territorio.

Ce l’ha con Conte? Non voleva “riciclati” nella coalizione.

Ogni secondo perso in un distinguo tra forze di opposizione non è uno sgarbo tra potenziali alleati, ma un affronto a chi vede la propria quotidianità affossata dal governo Meloni. Non capirlo è da privilegiati che giocano alla politica per sé stessi. In ballo non c’è il primato di un leader sull’altro, un punto in più o in meno, in ballo c’è l’Italia. Perdere anche un minuto a polemizzare tra noi significa non capire la gravità del momento. Fa bene Elly a ricordare che l’avversario è la destra. Non capirlo non è un dispetto al Pd, ma a chi la sera va a dormire senza sapere se il giorno dopo avrà un pasto da dare ai figli.

Gli alleati che litigano non vogliono battere Meloni?

Questo è il governo della ferocia. Ha un solo obiettivo: fomentare la guerra tra poveri e dire al penultimo che il suo problema è l’ultimo della fila. Che sia uno straniero, rom, migrante, una ong, la farina di insetti, i rave o la carne coltivata: hanno sempre un nemico da dare in pasto e un poveraccio da colpire. Se ci fossimo stati noi al governo, in questa Italia, che parte sempre due ore in ritardo grazie a un ministro dei Trasporti che fa altro rispetto a far arrivare un treno in orario, la destra inciterebbe alla rivolta. Svegliamoci prima che sia tardi, il paese non aspetta i nostri distinguo.

Lei non teme che la rottura con Renzi porti conseguenze a cascata nelle altre regioni al voto, e forse anche nello stesso Pd?

Il mio partito ha tanti difetti, ma sta dimostrando una ammirevole responsabilità verso il Paese: ha chiaro chi è l’avversario e si sforza di mettere nell’agenda pubblica la vita delle persone, non dei segretari di partito. Le regioni che vanno al voto hanno bisogno di unità per il buon governo. Chi vive e milita in quelle regioni deciderà la coalizione più opportuna per vincere, ricordandoci sempre che la grande unità dobbiamo sempre farla con cittadini e corpi vivi della società. Siamo in un’epoca di cambiamenti giganteschi, forze neofasciste avanzano in tutto il mondo, le giovani generazioni non credono più nella politica come strumento di cambiamento delle proprie vite. L’opposizione ha il dovere di fare un salto di qualità.

Conte e Avs vi dicono che un’alleanza con Renzi non sarebbe «credibile». Il Pd come la pensa?

La credibilità è un punto necessario, e vale per tutti. Alla guida del Pd ora c’è una generazione che non ha avuto responsabilità di governo, tanto meno con la destra. Il paradosso è che siamo quelli che non hanno partecipato a nessuno degli errori degli ultimi anni e dobbiamo sorbirci le paternali di tutti. Anziché parlare degli alleati, ognuno si impegni a imporre le proprie idee. Poi le persone sceglieranno chi premiare con il voto.

Volevate sdoganare Renzi senza discuterne con gli alleati?

Renzi è uscito dal Pd dicendo che ci avrebbe fatto fare la fine dei socialisti francesi. E che Elly avrebbe straperso il congresso. Che per Iv c’erano «praterie». Oggi è il leader di un partito del 2 per cento e io non ho intenzione di dargli più importanza di quella che gli hanno dato i suoi elettori. Passare il tempo a parlare di lui è segno di subalternità. Noi continueremo a parlare del Paese e a fare opposizione a Meloni. Non abbiamo tempo da perdere in stucchevoli politicismi.

Il centrosinistra si è spaccato anche sulla Rai.

Noi abbiamo imparato una lezione. Dire una cosa e farne un’altra è una delle peggiori cose che la politica possa fare, a proposito di chi parla di credibilità. E con l’elezione di Elly a segretaria ci siamo impegnati a non tradire più le nostre parole. Quindi non entro nella polemica. Tanto i fatti sono noti: il 10 settembre le opposizioni firmano un documento unitario in cui si dichiarano «indisponibili a rinnovare il cda Rai in assenza della riforma della governance». È un fatto noto. La riforma non c’è. E noi senza riforma non prendiamo posti di potere in Rai. Noi siamo rimasti coerenti alle nostre parole. Altri meno.

© Riproduzione riservata