Niente può andare storto. Almeno questa è la linea comunicativa (e l’auspicio) che da palazzo Chigi corre verso la Puglia, Borgo Egnazia per la precisione. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni è già sul posto da lunedì, dopo il voto. Ma arriveranno i capi di stato e di governo del G7, a cui domani si aggiungeranno quelli della sessione “outreach”, gli invitati che la presidente e i suoi sherpa hanno ritenuto di coinvolgere.

La situazione di partenza non potrebbe essere migliore per Meloni. È l’unica premier uscita rafforzata dal voto europeo: gli altri leader del continente sono in grossa difficoltà. Anche Joe Biden non ha grande spazio di manovra a pochi mesi dallo scontro definitivo con Donald Trump.

La diretta della prima giornata del G7

Di fronte a sé la premier ha poi Emmanuel Macron, reduce da elezioni disastrose, uno scioglimento dell’assemblea legislativa e con il fiato di Marine Le Pen sul collo. Più defilato Olaf Scholz, che ha deciso di non mettersi in discussione e resta alla guida della Germania, nonostante la sostanziale sfiducia che emerge dal voto tedesco, che ha segnato un grandissimo successo per l’estrema destra di AfD.

La scommessa di Meloni

Insomma, le stelle si allineano per la premier, che deve solo allungare la mano per agguantare quel ruolo di guida dell’Unione che il contesto le offre su un piatto d’argento. Oltre alla relativa debolezza degli altri leader del G7, infatti, Meloni può approfittare della presenza di altre figure che la possono agevolare in una buona riuscita dei suoi piani.

Per esempio la troika del G20 composta da Brasile, Sudafrica e dal primo ministro indiano, appena riconfermato, Narendra Modi, con cui Meloni ha un ottimo rapporto. Ma anche Kais Saied della Tunisia e Abdelmadjid Tebboune dell’Algeria, da sempre partner di riferimento della strategia sul Mediterraneo della premier. In medio oriente la premier può contare sulla presenza di Recep Tayyip Erdogan e re Abdallah II di Giordania.

I panel in agenda spazieranno dal medio oriente all’Indopacifico, fino ai rapporti con la Cina e all’immigrazione, su cui Meloni spera in un impegno maggiore nella caccia ai trafficanti e un’investimento ulteriore sui paesi d’origine e di passaggio per diminuire le partenze.

Nella lista degli invitati anche l’esplosivo Javier Milei, un po’ per legami storici con l’Argentina, un po’ per rafforzare i rapporti con il Sudamerica. Un rappresentanza significativa di quel “sud del mondo” caro a papa Francesco, keynote speaker della sessione sull’intelligenza artificiale, che Meloni vorrebbe impostare come discussione in termini di algoretica, cioè di un utilizzo dell’Ia in subordine o comunque in termini di supporto all’intelligenza umana.

Il rapporto con il Vaticano, a lungo coltivato dalla premier con udienze, conferenze pubbliche e altre attenzioni – come una certa brevità da parte del servizio pubblico nella trattazione dello scivolone sulla «frociaggine» commesso dal pontefice – ha portato come risultato il vero colpaccio della premier, che per prima porta a un summit il pontefice.

L’occasione ucraina

Occhi anche sull’Ucraina, che sarà trattata sia tra i membri del G7 sia domani, nella sessione outreach, alla presenza del presidente Volodymyr Zelensky, alla ricerca di sostegno in un tour europeo che ha toccato Berlino e Parigi e si concluderà alla conferenza di pace a Lucerna.

Durante la riunione Biden sottoscriverà anche un accordo di sicurezza con il presidente ucraino, e l’americano ribadirà l’impegno a favore di Kiev. Il conflitto ucraino è la vera occasione per il salto di qualità di Meloni. Con Macron indebolito e impegnato – pur avendo giurato che non farà propaganda – in una campagna elettorale, il posto del primo difensore di Kiev resterà momentaneamente scoperto.

Se, come appare verosimile in queste ore, il 30 giugno e il 7 luglio s’imporrà definitivamente il Rassemblement national di Le Pen, il momento rischia di allungarsi. È una posizione a cui Scholz non ha mai ambito e che attualmente è definitivamente fuori portata per il cancelliere, che ha le mani occupate nel tentativo di frenare l’ondata bruna di AfD che rischia di sfondare soprattutto a est già il prossimo autunno.

Per dimostrare al resto del continente (e anche a Biden) di essere all’altezza del ruolo di prim’ordine che propone nei suoi comizi per l’Italia, Meloni può cogliere l’occasione e fare onore alla linea atlantista che ha abbracciato quando ha messo piede a palazzo Chigi per intestarselo.

Il primo passo sembra quello di sbloccare l’impiego dei capitali russi congelati in Europa come garanzia per l’ulteriore prestito da concedere a Kiev: la soluzione sembra a portata di mano, ma gli sherpa segnalano alcuni problemi tecnici da risolvere prima del via libera definitivo che appaiono però superabili, almeno da quel che filtra in queste ore da palazzo Chigi.

Al contrario, rischia di diventare un caso il fatto che gli sherpa di Meloni avrebbero eliminato dalla bozza del documento finale, che è già in preparazione, il riferimento alla garanzia del diritto ad abortire che era contenuto nel testo finale approvato a Hiroshima, all’ultima riunione del G7.

L’intervento del governo Meloni avrebbe provocato le ire delle altre delegazioni, in particolare quella francese e quella canadese, che si erano esposte – anche se la proposta non è poi stata accolta – per utilizzare una terminologia ancora più esplicita che garantisse l’accesso all’interruzione di gravidanza. Il brevissimo tempo che intercorre tra la diffusione della notizia e la rettifica di palazzo Chigi dimostra quanto l’occasione è delicata per Meloni. «Nessuno stato ha chiesto di eliminare il riferimento alle questioni relative all’aborto dalla bozza. Tutto quello che entrerà nel documento conclusivo sarà un punto di caduta finale frutto di un negoziato», ancora in corso precisano fonti della presidenza italiana.

Ma si tratta del tipo di mossa che rischia di rovinare il piano di Meloni. La premier deve scegliere se assecondare le sue priorità ideologiche oppure la ragion di stato. Ad azzoppare la cavalcata di Meloni rischiano di aggiungersi errori logistici che si affastellano già prima dell’inizio del summit: dalla nave su cui sono stipati gli agenti che dovrebbero garantire la sicurezza dei leader, in condizioni talmente disastrate da essere sequestrata dalla squadra mobile di Brindisi alla scelta di tenere i giornalisti in un media centre a Bari, a quasi cento chilometri di distanza dal vertice. Le condizioni per Meloni sono ottime, gli auspici molto meno.

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