- Ambientalista e antifascista. Di sinistra, ma senza un luogo dove sentirsi a proprio agio. Femminista e attento ai diritti Lgbtqa+: è l’assessore alle Politiche giovanili, alle Pari opportunità e all’Innovazione nominato dal sindaco di Verona Damiano Tommasi
- Jacopo Buffolo, classe 1995, protagonista del laboratorio politico della città veneta, rappresentante dei ventenni in politica
- Buffolo è la voce di una generazione impegnata nella lotta per i diritti e nella società civile, ma che non crede nei partiti. Generazione che Damiano Tommasi è stato in grado di intercettare
L’ufficio è bianco, quasi spoglio. C’è solo una bandiera italiana che si mischia alla pila di fogli sulla scrivania. Tra questi le ultime analisi del voto, necessarie per comprendere quali siano stati i partiti preferiti dai giovani nelle ultime elezioni. Dietro alla scrivania un volto piegato che scruta e parla al telefono.
Di Jacopo Buffolo la prima caratteristica è la più evidente, la sua giovinezza. Jeans strappati sulle ginocchia, le scarpette da ginnastica buone indossate per l’intervista e l’orecchino al lobo sinistro. Non ti viene da pensare «ecco un altro giovane vecchio», perché dimostra una capacità politica fuori dall’ingabbiamento di sistema. Osservando la sua mimica facciale, le parole pesate ma non troppo, la ragionevolezza dei discorsi, ti immagini che la società civile stia partorendo figure nuove in grado di attrarre curiosità.
Fuori dall’ufficio la targhetta con scritto “Jacopo Buffolo assessore alle Politiche giovanili, alle Pari opportunità e all’Innovazione del comune di Verona”. Buffolo rappresenta uno dei giovani emergenti della politica italiana e non è un caso che Damiano Tommasi, neo sindaco di Verona, lo abbia voluto al suo fianco in questo inaspettato laboratorio politico.
Il nuovo assessore
Data di nascita 15 ottobre 1995. Ambientalista e antifascista. Di sinistra, ma senza un luogo dove poter approdare per sentirsi pienamente a suo agio, dice. Femminista e attento ai diritti Lgbtqa+, tanto da essere uno degli organizzatori del Pride a Verona. Nella sua indole non c’è il proclama urlato, ha un tono di voce così flebile che neanche glielo permetterebbe: «Siamo una generazione diversa, molto lontana dalla classe politica che ci rappresenta», spiega mentre passeggiamo in piazza Bra a Verona. Parliamo di Ludwig e degli efferati omicidi di matrice nazi-fascista che sconvolsero la città tra il 1977 e il 1984, ci addentriamo ripercorrendo le fasi e gli errori dell’ex sindaco Federico Sboarina, colui che costrinse la città a protestare per una mozione che inaspriva la 194, la legge sull'aborto.
Arriviamo all’ultima elezione, quella che ha fatto di Verona un cantiere politico di sinistra con la vittoria di Damiano Tommasi, l’ex giocatore della Roma che ha sbaragliato tutti alle elezioni e che queste elezioni le ha corse ascoltando più le nuove generazioni che non i leader di partito. Mossa vincente, visti i risultati.
In ogni foto del neosindaco Tommasi appare Jacopo Buffolo, di lui in Internet si scova la storia politica. Impegnato attivamente da quando aveva poco più di 16 anni. È stato nell’esecutivo nazionale della Rete degli studenti medi. È un membro di Anpi Verona. Non è ancora laureato in storia, ma solo perché «mentre frequentavo l’università, lavoravo a tempo pieno per pagarmi gli studi. E poi chiaramente facevo volontariato».
Nella lotta, fuori dai partiti
Buffolo è la sintesi di una nuova generazione che ha la coscienza della società civile, lotta pacificamente per i propri diritti e si infiamma sui social per quelli calpestati. Una generazione che si sente defraudata del proprio futuro e che se lo riprende scegliendo di muoversi: «Quando ho scoperto che Damiano Tommasi si sarebbe candidato al comune di Verona come sindaco ho deciso di partecipare alla campagna elettorale e candidarmi, ma non mi sarei mai immaginato poi di dover accettare un incarico come assessore. A dire il vero non credevo che mi avrebbe mai chiesto di ricoprire un ruolo simile».
Si ricorda il momento in cui glielo ha chiesto? «Certo, rimasi così sbalordito che gli dissi che ci dovevo pensare, chiamai chi mi aveva accompagnato in questa campagna elettorale e chiesi a loro se dovessi accettare o meno. E quale contributo avrei potuto dare con la mia presenza in giunta».
Ride alla domanda: Chi ha ha chiamato, il suo partito? «No, non ho nessuna tessera di partito al momento. Non ho ancora trovato un luogo dove poter stare. Purtroppo la politica di partito si è allontanata dai giovani e noi preferiamo essere attivi in altri modi. Chiamai chi si era speso con me. Se lei guarda le foto della campagna elettorale scoprirà che eravamo in tanti sotto i trent’anni a seguire Tommasi».
Attivi in che senso, viene da chiedere: «Nel senso che ci impegniamo nella società civile. Facciamo volontariato, lottiamo per l’ambiente. Non dimentichiamoci che noi siamo la generazione dei Fridays for Future. Negli ultimi anni abbiamo assistito a partiti che poco hanno saputo parlare con il futuro di questo paese e noi ci siamo creati degli spazi, e questi spazi li stiamo riempendo, anche con incarichi politici come sto facendo io, perché è importante che ci prendiamo le nostre responsabilità, ma è altrettanto importante che chi è più avanti con gli anni si fidi di noi e ci dia l’opportunità di ricoprire dei ruoli all’interno delle istituzioni, altrimenti il mondo si fermerà».
Si blocca, si guarda intorno e senza esitazione continua a spiegare: «Il mondo sta cambiando, questo è innegabile, noi per generazione abbiamo una visuale sul futuro molto diversa. Serviamo più di quanto si pensi, non è un caso che io abbia la delega all’Innovazione».
L’intuizione di Tommasi
Siamo all’indomani del voto, da piazza Bra ci spostiamo nella zona universitaria per un aperitivo insieme ad alcuni amici: «La vedi quella chiesa? Quella è famosa perché ci facevano le terapie di conversione». Il locale si trova proprio qui, nella stessa piazza della chiesa tridentina, la stessa dove l’ex ministro leghista alla Famiglia, Lorenzo Fontana, si è sposato. Ci sediamo, al tavolo siamo in sette. Sette che vanno dai 25 anni ai 33.
Nessuno di loro ha un lavoro fisso, nessuno di loro ha una tessera di partito, nessuno ha votato convintamente alle ultime elezioni nazionali. La discussione inizia ed emerge che a piacere sono Ilaria Cucchi e Aboubakar Soumahoro, personaggi prestati alla politica dalla società civile. Ma anche che la sinistra usa un linguaggio troppo complicato e che solo trovare il programma elettorale in rete è stata un'impresa e detto da nativi digitali fa comprendere molto. E ancora: la Meloni piace («non a noi», specificano,) perché dà l'impressione che sappia cosa vuole. Di Enrico Letta dicono poco, Carlo Calenda lo approvano ma senza entusiasmo. Silvio Berlusconi lo seguono su TikTok, ma perché comico. Matteo Salvini scatena una risata generale.
«Votiamo perché dobbiamo farlo, ma votare convintamente non è qualcosa che ci appartiene», dice una di loro e poi aggiunge: «Quello che più mi fa sorridere è che siamo una generazione che ha le idee molto chiare». Cerco di capire se ci sia un leader che faccia al caso loro o che li rappresenti in un modo o nell'altro: «Questo è il nodo della questione, il Pd ad esempio ha candidato cinque giovani. Bellissimo gesto, ma non credo basti».
Sgranano come un rosario il loro programma, con un elemento: la concretezza. In pochi hanno compreso, solo Damiano Tommasi ha intuito. Scegliere nella sua giunta un giovane lontano dai politici che abbiamo sempre conosciuto. Il coraggio di provare una strada diversa. Un strada che riporti le nuove generazioni al centro della politica italiana.
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