Lo scontro sul salario minimo resta caldo ma il leader M5s avanza una proposta che però è già di Cgil, Avs e di Schlein. Il Pd prepara la piazza dell’11 novembre. Intanto Italia viva chiude la coabitazione con Azione
Uniti, troppo uniti sul salario minimo. E allora Giuseppe Conte fa il classico più uno: il giorno dopo lo scontro con la maggioranza sul minimo legale, rilancia la proposta del M5s sulla riduzione dell’orario di lavoro da 40 a 32 ore settimanali a parità di salario. Lo fa dai social, dedicando la proposta – già depositata a marzo – a Domenico De Masi, il sociologo recentemente scomparso.
Qualche giorno fa, in tour elettorale a Trento (dove si vota questo weekend), l’ex premier aveva visitato la Zupit, azienda che si occupa di sviluppo di software, e che ha introdotto il taglio delle ore nel 2019, con giovamento per profitti e dipendenti.
In realtà, sul tema della riduzione dell’orario di lavoro, il Movimento 5 stelle arriva buon ultimo a sinistra. Riproposta mesi fa da Maurizio Landini, leader della Cgil, era già nel programma dei rossoversi ed è da sempre il cavallo di battaglia della sinistra-sinistra.
Anche Elly Schlein le ha dedicato un intero capitolo del suo libro La nostra parte (Mondadori). Sul tema «sarebbe ora di aprire un dibattito serio», scriveva Schlein nel 2022, replicando a un immaginario no del «coro degli ordoliberisti» con le teorie dell’economista Giorgio Maran, «di fronte all’intreccio delle grandi transizioni che stiamo vivendo – tecnologica, climatica e demografica – la riduzione dell’orario lavorativo a parità di salario rappresenta un elemento essenziale di ripensamento del sistema, per dare nuove risposte a nuovi bisogni». Su una proposta concreta sta lavorando anche il Pd. Ma Conte prova lo sprint solitario.
Destra svogliata
E dire che la giornata campale di mercoledì a Montecitorio aveva riaffiatato almeno un po’ le opposizioni (tutte tranne Iv, che nel frattempo ieri ha annunciato la rottura unilaterale della coabitazione con Azione nei gruppi parlamentari) grazie allo scontro con la maggioranza sul salario minimo: dal no unitario al rinvio in commissione, pronunciato in aula, all’abbandono in massa dei lavori della commissione Lavoro per protesta verso il presidente Walter Rizzetto (FdI) che non ha voluto calendarizzare subito la discussione sul testo delle opposizioni.
L’esame della legge in pratica ricomincia da capo, e con tutta calma, rivela il resoconto della commissione: «Le modalità di prosecuzione dell’iter saranno successivamente definite nella riunione dell’ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, della prossima settimana, in cui si potrebbe valutare l’opportunità di svolgere un approfondimento istruttorio mediante un’attività conoscitiva nell’ambito della quale procedere anche all’audizione dei rappresentanti del Cnel». In pratica fra due settimane sarà ascoltato il presidente del Cnel Renato Brunetta.
La maggioranza procede ad andamento lento, perché non ha una sua proposta. Un «insabbiamento», ha detto l’ex ministro Andrea Orlando a Radio Radicale, e «si può insabbiare la proposta dell’opposizione, ma non la ragione da cui nasce, cioè il fatto che ci sono tre milioni di lavoratori sulla soglia di povertà. Ciò significa che con l’andamento dell’inflazione, rischiano di diventare rapidamente 4 milioni».
In più, il voto in aula, con soli 21 voti di differenza, e le assenze nei banchi di Lega e Forza Italia (rispettivamente 12 e 14 deputati) segnalano qualche svogliatezza di troppo nella maggioranza. O, meglio, il malumore nei confronti della premier Giorgia Meloni, che tratta i suoi parlamentari «come sagome», per citare Roberto Morassut (Pd): figuranti convocati solo per votare la fiducia.
La piazza Pd e lo sciopero
Il tema resta caldo, ed è tanto di guadagnato per la piazza del Popolo che Schlein deve obbligatoriamente riempire l’11 novembre. Lì dovrà affrontare la delicata questione della guerra di Hamas contro Israele. Fin qui ha tenuto unito il partito sulla solidarietà a Tel Aviv e «la ricerca di un processo di pace».
Una linea unitaria che ieri pomeriggio è stata confermata a Strasburgo, nella risoluzione bipartisan del parlamento europeo (solo gli indipendenti Smeriglio e Bartolo hanno votato con sinistra e M5s la richiesta di «immediato cessate il fuoco»).
In mattinata il responsabile Esteri Peppe Provenzano aveva riunito i gruppi parlamentari e il dirigenti coinvolti sui temi della politica estera per fare il punto sul Medio Oriente. Tre ore di confronto, ma tutti d’accordo, assicura la segretaria: «Il Pd è per un cessate il fuoco umanitario, in linea con quanto chiesto dal segretario generale Onu Guterres».
Dal palco, l’11 novembre, la segretaria vuole spingere soprattutto sul lavoro e sul salario minimo. E sulla sanità: martedì scorso le opposizioni hanno cominciato a lavorare su tre emendamenti comuni alla manovra. Quella piazza si intreccerà con le mobilitazioni sindacali e con le date dello sciopero generale per categoria; sul quale già oggi, o al più tardi martedì prossimo, si capirà se Cgil e Uil riusciranno a coinvolgere anche la Cisl.
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