Freno a mano tirato per non rischiare intoppi e si naviga a vista. Questo è ormai lo stato d’animo nel governo, dopo le fibrillazioni dei giorni scorsi tra Lega e Forza Italia e nonostante le formali professioni di unità della maggioranza dei rispettivi leader.

A far trasparire tutta la tensione è stato il consiglio dei ministri di ieri, coda di quello di lunedì dopo il rinvio voluto da Antonio Tajani: iniziato con due ore di ritardo e durato appena quindici minuti, è terminato con il via libera al decreto legge Giustizia mutilato di tutte le sue parti più critiche. Grande assente, Matteo Salvini, formalmente per «motivi personali» che lo hanno riportato a Milano.

Giorgia Meloni, dunque, ha toccato con mano come ormai i due alleati siano ai ferri corti su tutto e che ogni passo nella direzione dell’uno verrà considerata uno sgarbo dall’altro. Una strada per uscirne andrà trovata, ma intanto va lasciato passare un fine settimana di decantazione.

nche perché, a fronte dei paletti ben piantati da FI sul canone, la Lega è tornata all’assalto facendo capire che lo scontro è solo rimandato e che anzi è pronto il rilancio su un tema di diretto interesse della famiglia Berlusconi e del gruppo Mediaset: il progetto di legge sui tetti pubblicitari della Rai da aumentare di un punto percentuale presentato dalla Lega e che potrebbe diventare un emendamento a qualsiasi altro provvedimento, ha detto il primo firmatario Stefano Candiani. Un problema non da poco per Mediaset, che si troverebbe a subire maggiormente la concorrenza dell’azienda televisiva pubblica nell’accaparramento di pubblicità, influendo di conseguenza anche sui rapporti dentro la maggioranza.

Il cdm

Anche alla luce di tutti questi problemi aperti, al cdm di ieri Meloni ha preferito portare solo gli aspetti non controversi. Si è applaudita la nomina a Bruxelles di Raffaele Fitto, alla sua ultima seduta di consiglio, e che Meloni ha ringraziato «per l'eccellente lavoro svolto» e per «gli eccellenti risultati che hanno portato l'Italia tutta ad essere considerata un esempio in Europa nell'attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza».

Nessuna parola però su a chi finiranno le sue deleghe – ambitissime soprattutto da Forza Italia – e che fino a inizio 2025 rimarranno certamente a palazzo Chigi. Poi si vedrà, ma in pole position ci sarebbe la tecnica d’area Elisabetta Belloni e non un nome politico di estrazione azzurra. Tra gli altri nomi in lizza ci sono però anche i meloniani Edmondo Cirielli, viceministro degli Esteri, e di Giulio Terzi di Sant’Agata, ex ministro degli Esteri nel governo Monti.

Anche il dl Giustizia è stato sfrondato di tutte le sue parti critiche. Sono saltate per «maggiori approfondimenti» le misure sulla cybersicurezza che prevedevano funzioni di impulso in capo al procuratore nazionale Antimafia per il reato di estorsione informatica, che erano state ragione di scontro in maggioranza e osteggiate sempre da Forza Italia. «La Procura Antimafia va riportata all'idea originaria di Falcone ed emendata da malfunzionamenti e degenerazioni che purtroppo ne hanno costellato la vita in tempi recenti», ha detto il forzista Maurizio Gasparri, contrario all’allargamento dei poteri della Dna.

L’accetta è caduta anche sull’illecito disciplinare per i magistrati non astenuti nei procedimenti su questioni su cui hanno espresso opinioni pubbliche. Ad essere approvate sono state solo le norme meno controverse: la proroga del termine per le elezioni dei consigli giudiziari e del consiglio direttivo della Corte di cassazione, differite ad aprile 2025.

Tra le disposizioni approvate, invece, c’è stata la delibera che dichiara l’interesse strategico nazionale del programma di investimento iniziale da 1,2 miliardi di euro presentato da Amazon web services.

Subito dopo il cdm lampo è seguita la riunione della cabina di regia per l’attuazione del Pnrr, con valutazione dello stato di avanzamento degli obiettivi della settima rata. Si è preso atto della valutazione positiva espressa dalla Commissione europea lo scorso 26 novembre, connessa all’approvazione del pagamento della sesta rata da 8,7 miliardi di euro e al conseguimento dei trentanove obiettivi collegati. «Con l’incasso della sesta rata, previsto entro la fine del 2024 l’Italia si conferma la Nazione che ha ricevuto l'importo maggiore di finanziamento, pari a 122 miliardi di euro», ha detto Meloni, aggrappandosi all’unica nota positiva di giornata.

Lo scontro

Ogni altra decisione dunque è stata rinviata. L’obiettivo, con l’inizio della prossima settimana, è quello di ristabilire un clima di lavoro che consenta di portare avanti la manovra di Bilancio in parlamento senza altri smottamenti come quelli sul voto contrario di FI sul canone Rai. A farsene carico dovrà essere Giorgia Meloni, decisa a riprendersi la scena dopo gli scontri tra i due leader Salvini e Tajani, ristabilendo i rapporti di forza e la sua egemonia sulle scelte finali del governo.

Chiaramente la priorità di lavoro va all’approvazione della legge di Bilancio, ma la premier dovrà riprendere il filo anche degli altri capitoli lasciati aperti: la nomina dei giudici costituzionali ma soprattutto le riforme, in particolare quella della giustizia con la separazione delle carriere. Se il premierato si è temporaneamente arenato e la riforma dell’autonomia ha subito il freno della Consulta e dovrà tornare con una nuova formulazione in parlamento, la divisione tra giudici e pm è il tema su cui la maggioranza ha sempre trovato insperata convergenza, anche con una quota dell’opposizione centrista.

Su questa si tornerà a battere in aula, a partire dal 9 dicembre, quando il testo approderà alla Camera per la prima lettura. Anche in questo caso, come con il premierato, si tratta di una riforma costituzionale con un percorso aggravato, ma politicamente la premier ha ormai testato efficacemente come la giustizia sia una perfetta arma di distrazione di massa.

© Riproduzione riservata